"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 11, settembre 2005 

 


Marlene Dietrich: parole per la Musa

 

 

 

13. Joseph von Sternberg

 

 

 

 


 

“...mi permetteva d'intravedere le cupe chimere che abitavano il suo spirito, delle quali ero ormai parte integrante.”

(M. DIETRICH, Marlene D)

 

Il fatto è che nei suoi film Sternberg ricerca febbrilmente se stesso, si cerca e si offre attraverso le preziose stesure, il fascino delle trovate. Per semplificare, chiameremo l’insieme di oggetti disseminati dal circolo narcisistico sternberghiano col loro nome più noto: Marlene Dietrich. Identificarsi con Marlene voleva dire rendere un’immagine del mondo, raccolto nel paesaggio della figura e soprattutto del volto dell’attrice (…) come mondo risolto nell’occhio dell’artista che lo guarda. Che, cioè, si guarda allo specchio e dona agli altri il riflesso di guardarsi.

 

(…)

 

“Ci si identifica amando: e Sternberg ‘è sforzato di considerare naturale l’amare Marlene, nell’ordine delle cose che mediano il rapporto con la propria persona. Di certo a Marlene non è venuto naturale. Non si può pretendere che l’acqua si innamori di Narciso. Sternberg lo pretendeva…”

 

(…)


Tendersi una morbida trappola e catturarsi magari in un primo piano di Marlene: il fine di Sternberg. Ma la trappola a se stesso gli sfuggiva come un risvolto, il retro della vita. “Per incarnare la mia eroina avevo un modello in testa, e rifiutavo un’attrice dopo l’altra, per la sola ragione che nessuna corrispondeva all’immagine che mi perseguitava”. Il modello che aveva in testa era un disegno di donna del pittore Felicien Rops, che il regista aveva sempre in mente.”

 

(…)


”Ma creare un’immagine era allo stesso tempo distruggerla per mostrare il movimento puro della creazione, il gesto del creatore. Sternberg stesso assicura “che il fatto di trasformare degli essere umani in immagini fotografiche non è un atto d’amore”. Egli, del resto, nega la qualifica di artista all’attore cinematografico e gli attribuisce, con demiurgica prepotenza, quella di “nient’altro che uno dei materiali complessi del lavoro di regista”…”

 

(M. DE BENEDICTIS, Il cinema americano, Newton Compton,2005)

 


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