"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3, marzo 2003

Racconti di Kafka

Lettera al padre

Propedeutica per padri (o figli?) di famiglia

di Giulio Morgan 


La “lettera al padre” fu scritta a macchina (tranne le ultime due righe aggiunte a mano) da Franz Kafka nel novembre del 1919 a Schelsen, in Boemia. Non giunse mai al destinatario, poiché la sua corsa si arrestò tra le premurose e prudenti mani di Julie Löwy, madre di Franz, la quale sottrasse, forse, alla robusta salute e alle robuste convinzioni del marito, Hermann Kafka, un duro colpo.Da quando ho l’uso della ragione, mi sono a tal punto preoccupato della sopravvivenza spirituale, che tutto il resto mi riusciva indifferente. Così ad un padre che “era per lui l’uomo dell’autorità, i cui interessi erano limitati ai valori dell’azione efficace” (G. Bataille). – L’uomo dell’azione efficace, ovvero: l’uomo che lavora, che fa denaro, che costruisce, che si costruisce un’isola attorno in un mondo senza punti d’appoggio al di fuori di se stesso. Non importa se si giudica impropriamente, se le opinioni sul mondo sono offuscate, se si tratta con pericolosa durezza


la sensibilità di un bambino, perché, quando si sta costruendo qualcosa col sudore della fronte, per raggiungere lo scopo ci vuole forza, risolutezza; non ci si ferma troppo a rimuginare, non si ha tempo per dubbi e per malattie, forse non si sta neppure troppo attenti a se stessi.

Per contrappasso, ad un tale padre così “sano”, vitale ed attivo, dovette toccare in sorte un figlio come Franz, “così taciturno, cupo, scialbo, debilitato” da riuscire insopportabile a se stesso. Un figlio schiacciato subito, immediatamente, dal vigore paterno, schiacciato da quell’ansia, da quel senso di inutilità, che suscitano gli ordini e le direttive delle “persone pratiche”, quelle che guardano alla “sostanza”, all’“utile”.

 

Giustificata fu la tua avversione per le cose che scrivevo. (…). Qui ero riuscito realmente a ritagliarmi uno spazio indipendente da te, anche se ricordavo il verme che schiacciato da un piede nella parte posteriore, riesce a liberare la parte inferiore e striscia via di lato. Mi sentivo in qualche modo al sicuro, riuscivo a riprendere fiato…

 

Kafka avrebbe voluto intitolare tutta la sua opera “Tentativi di evasione dalla sfera paterna”; il primo racconto che gli diede la sensazione di quanto inebriante potesse essere scrivere è “Il verdetto”, in cui un padre condanna a morte il figlio: quasi omicida è del resto il padre di Gregor Samsa… 

Siamo agli antipodi del padre, uomo dai chiari “obiettivi”. Nella sua profonda diversità, o forse mancata complementarietà, il figlio aveva osservato e rimuginato l’effimero che vi è in ogni azione, in ogni “scopo”, posto arbitrariamente come punto di arrivo, nella violenza del tempo, dalla volontà umana.

 

Scrive E. M. Cioran: “Essere, vuol dire essere incastrati”. – Franz “K.” intuì, credo profondamente, tale situazione, ma in scacco a qualsiasi Forza riuscì anche a gioire nell’incastro.

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