"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 7, maggio 2004                                         


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

"Fondamenta degli Incurabili" di Iosif Brodsky

 


 

 

13. Mary McCarthy

 

 

 

 


 

Perle dall’oceano e gemme dalla montagna;

mirra dalla foresta e oro dalla miniera…

(Epiphany Hymn, Reginald Heber)

 

A Gibbon “lo spettacolo di Venezia procurò alcune ore di stupore e qualche giorno di disgusto”. Mary McCarthy, non meno impudentemente, si domandava se fosse davvero incantevole la tanto decantata laguna: “Perché Venezia, se si tralascia la sua posizione geografica, dovrebbe essere un luogo incantato?” Che le acque offrano un abbaglio? Che sia “un caso fortuito, un gioco di luci.”?  “Come ha potuto creare una città fantastica, bella come un sogno o una fiaba, un popolo di commercianti vissuto solo per il guadagno? Questo è l’enigma centrale di Venezia, l’ostacolo che s’incontra continuamente se si pensa la sua storia e se si accostano i fatti storici alla realtà che ci sta sotto gli occhi.” (Mary McCarthy, Venice Observed, 1956)

 

La soluzione -lo insegnavano i cinici - è nel quesito stesso: “bella come un sogno o una fiaba”. Dov’è mai la contraddizione “se ci si ferma a pensare quali immagini di bellezza emergano dalle fiabe”? Certo, se i gioielli crescessero ancora sugli alberi, sarebbe così agevole credere… Per coglierne il barbaglio basterebbe divenire un Aladino, o magari salir fin sulle cime del Monte Analogo, a cercar peradam. Ma come pretendere tutto ciò dalla Venezia d’oggi? Così concitata, così pressée, la velocità delle sue accelerazioni trasformata in sestante dell’imperdonabile Caduta. Assai più saggio affidarsi agli incensi d’una maga, scivolare su e giù lungo i canali, imboccare una calletta dimenticata, mutevole come una donna nervosa, di quelle dove gli armieri, ai bei tempi superbi, s’esercitavano a star ritti sulle lance; percorrerla poi tutta, provando a sbrecciare lo spessore impenetrabile delle brume d’inchiostro, e finalmente scoprirsi dinanzi a una bottega sconosciuta, altrimenti invisibile, come aperta lì all’occorrenza. E che infatti domani sarà già altrove. 

 

Lì -raccontano i Grimm-  la figlia del mugnaio fila ancora l’oro con l’aiuto dello gnomo Tremolino. Proprio lì, come nelle conterie di Murano al tempo della Dogaressa, la maestria è destrezza da trapezista: numerar i grani e le sfere, infilandoli lungo un filo sottilissimo: contar da impiparessa

Le “antiche perle veneziane”: impasto screziato, lunga canna scintillante alitata dal maestro vetraio per esser poi segata in tronchi visitati dalla Luce: tesoro che per otto secoli riposò nei forzieri legislativi del Consiglio dei Dieci, gli arcigni tutori di quel nobile segreto di lavorazione (pena, l’esposizione mattutina tra le due colonne fatali di piazza San Marco). 

 

Le “perle”, volendo anche “gruzzolo scintillante di un avaro, sorvegliato dalla bestia con gli occhi d’agata bianca e da un santo, in realtà principe, che ha appena ucciso un drago.” 

Epperò -oggi- promessa tradita, ché per lo Sposalizio annuale il Mare le offre più al suo Doge; ‘sendosi infranto, il sonetto di Du Bellay, sull’ironia d’una profezia spigolosa: ces vieux coquz vont épouser la mer/ Dont ils sont le maris et le Turc l’adultère (Les Regrets, 133)

 

Le “antiche perle” risultano infatti sparse sulla via del cammello battriano; i mammalucchi di Teheran le espongono nei loro suk assieme a pendagli di turchesi, su cui è giusto e pio far incidere l’Aprente. Al mercato di Kabul, in Chicken street, fino agli anni cinquanta si potevano barattare in cambio di niello o qualche lega spuria. Le mani dell’Avido Mercante le avevano scaraventate sino all’Africa atlantica, svilendole in scambi di mori nigeriani. Ancora in anni recenti, giovani mercanti ne riscoprivano interi bauli: confuse per modesto artigianato locale, gli hippies di Tangeri le scartavano chiamandole pietre di Goulimine. Si trattava –ahiloro- di rarissimi millefiori del primo Novecento… Cose che accadono a chi stia lì sempre a impipar

 


 

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