"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9 dicembre 2003

 


Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 

8.  Tolstoj

 

 


 

 

“Se sposerete un tolstojano, vi farà falciare.”

(A. ČECHOV, L’onomastico)

Già al primo incontro a Jasnaja Poljana (agosto 1895), Tolstoj rimase incantato da Čechov, “con la sua andatura da signorina, e i modi, da signorina proprio” (Diario). Certo, era ateo, e addirittura medico, ma scriveva in un modo che poteva addirittura ricordare Puskin: così trasparente, così capace di dire tutto senza sottolineare niente, senza mai lasciare un angolo di commento al narratore.

 

Čechov come un controcanto di dissonanze intrecciate sulla voce del mastodonte tolsotjano? - Bellissimo leggere allo stesso tempo, come due voci d’un madrigale di Gesualdo, due racconti supremi  come Morte di Ivan Il’ič (1886) e Una storia noiosa (1889): se il capolavoro tolstojano finisce - dopo orrori e strepiti, rancori e scandali mentali - in un’ultima pagina così enigmatica da aver permesso la quiete di pacificatissime letture mistiche (ma leggi l’introduzione che ha scritto Ripellino per la Rizzoli), nel racconto di Čechov non trovi “né rabbia né crescendo alcuno”:

 

...tanto che ogni volta che il protagonista non resiste più e scoppia a piangere per lo sgomento, ha sempre l’aria di chi dopo aver pianto spiegherà il fazzoletto e si soffierà il naso. L’effetto è, complessivamente, agghiacciante: l’affabilità, il bon ton usati come armi contro la morte!

(I. SEBALDI, Introduzione  a A. ČECHOV, Racconti, Mondadori) 

 

E questo perché “non è lasciato alcun varco alla Verità, c’è soltanto una verità con l’iniziale sempre mortalmente minuscola, una verità semplicemente uguale alle cose così come sono, una verità noiosa” (Ib.). La vita se ne va com’era venuta: senza metafisica, senza sprofondamenti in botole di verità che solo la morte, chissà perché, dovrebbe spalancare: “A rigore, i miei pensieri dovrebbero essere a questo punto profondi come il cielo, brillanti, sbalorditivi... Invece no!” (A. ČECHOV, Una storia noiosa)

 

La faccenda del “senso” della morte è il cuore di tutte le domande di Tolstoj, e di tutte le non-domande di Čechov?

 

In clinica è venuto a trovarmi Lev Nikolàevič, col quale ho avuto una conversazione molto interessante. Molto interessante per me, perché ho ascoltato più che parlato. S’è parlato dell’immortalità. Egli ammette l’immortalità nel senso di Kant; pensa che tutti noi (uomini e animali) vivremo in un principio (ragione, amore), l’essenza e il fine del quale costituisce per noi un mistero. A me questo principio o forza si presenta sotto l’aspetto d’una informe massa gelatinosa, il mio io – la mia individualità, la mia coscienza – si fondono con questa massa. D’una simile immortalità non so che farmene, non la capisco, e Lev Nikolàevič era sorpreso ch’io non capissi.” 

(A. ČECHOV, lettera a Michaìl O. Mènšikov, 16 aprile 1897)

 

A parte questo, l’amore: “non ho mai amato nessuno quanto lui” (A. ČECHOV, lettera a Michaìl P. Cechov, 28 gennaio 1900).


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