"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9 dicembre 2004

 

 

Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura


 

 

12.  Nel cervello 

 

 

 


 

 

“…fatto un largo forame nel cranio, cavai pulitamente tutto il cervello,  rinettando bene la cavità a segno tale che non ve ne rimase né pure un minuzzolo. Lasciando poscia scoperto il forame del cranio, misi la tartaruga in libertà...” (F. REDI, Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi)

 

 

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Forse ciò che chiamiamo Anima non è la cosa che potrebbe o meno avere una Bua, ma la Bua stessa: la ferita che a volte – semplicemente – si vorrebbe non avere mai avuto! La ferita che è l’anima, infatti, a guardarla fa vertigini, e prima o poi ci si precipita. Se sei un Buddenbrook, magari ne muori. Da ciò la cautela, per esempio, del dottor Jung, a svelare specie a pazienti particolarmente pimpanti, anche solo una puntina di anima (Sogni, Ricordi, riflessioni).

 

In ogni caso, la costellazione che la rete di parole che sappiamo (pensiero, coscienza, Io, anima, ecc.) cerca di acchiappare, sarà tutt’altro che un luogo di coerenze spirituali: non ci trovi  né Dio né Io, e, piuttosto che un glorioso ordine dantesto, il bric-à-brac della luna di Astolfo: “Sapete, i pensieri di ogni singolo individuo sono anch’essi gettati disordinatamente in questo modo, si tendono verso uno scopo lungo una stessa linea in mezzo alle tenebre e, senza illuminare niente, senza rischiarare la notte, scompaiono chissà dove, lontano dietro la vecchiaia...” (A. Čechov, Le luci).

 

Ora però, dando pure per scontato che nella scatola cranica alberghi Psiche con tutti i suoi disastri, pensiamo però per un attimo al cervello come appare. Scegliendo naturalmente guide alla nostra altezza:

 

La vista del cervello ispirò loro riflessioni filosofiche. Facile distinguere nel suo interno il septum lucidun, composto di due lamelle, e la ghiandola pineale che somiglia ad un pisello rosso; ma per il resto! archi, colonnine, penducoli, ventricoli, mensolette, gangli e fibre d’ogni genere; e il foramen di Pacchioni e il corpo di Paccini; insomma un groviglio inestricabile, che, per venirne a capo, sarebbe occorsa tutta la vita.

 (G. FLAUBERT, Bouvard e Pécuchet)

 

Guarda caso, giusto la vita che non si ha mai. 

Passando allora dalla generosità dei dilettanti all’efficienza dei professionisti, ci troviamo però a sentirci dire solo cose che spaesano: “in queste mie mani li ho tenuti, cento e anche mille; alcuni erano molli, altri duri, tutti prossimi al disfacimento; uomini e donne, frolli e pieni di sangue. Ora tengo sempre il mio nelle mani e devo sempre indagare quel che posso fare di me. Se qui il forcipe avesse premuto un po' di più sulla tempia...? Se mi avessero colpito sempre sullo stesso punto della testa...? Cosa sono mai i cervelli?” (G. BENN; Cervelli).

Se non ce lo sa lei, dottor Rönne!…

 

Ben più alla nostra portata Céline, con la sua fissa certo un po’ troppo furba che il cervello sia proprio lui la scusa buona, quando si fanno le fesserie e si dicono le stupidaggini: “senza vantarmene, devo proprio ammettere che non ho mai avuto un testa solidissima”, il che non toglie – anzi - che “un cervello sia un tiranno come non ne esistono altri” (F. CÉLINE,  Viaggio al fondo della notte).

Céline se ne ricorderà quando, alla fine di tutto, dopo il 1945, avrebbe dovuto iniziare a dar conto d’una sfilza impressionante di delirî, e invece la butta sui neuroni, il povero eterodiretto:

 

La testa è una specie di officina che funziona mica così bene come uno vuole... pensare! duemila miliardi di neuroni completamente in pieno mistero... stai fresco! neuroni abbandonati a se stessi! il minimo accesso, il tuo cranio se ne va in campagna, acchiappi più un’idea!... hai vergogna...  (F. CÉLINE, Da un castello all’altro)

 


 

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