"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9 dicembre 2004

 

 

Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura


 

 

8.  Bravi medici 

 

 

 


 

È colpa del dito unto, della penetrante,

morturiera mano palpatrice, sì,

è la mano del medico che uccide!

Basta un’oncia di cloruro di calce,

un’oncia sola in un secchio d’acqua,

per porre fine al veneficio.

 

(Ignaz Philipp Semmelweis. 1818-1865

di H. M. ENZENSBERGER,

in: Gli elisir della scienza)

 

Certo fu un medico fantastico il dottor Semmelweis: “terribile storia" che richiede un “lettore intrepido”, e che “ci mostra il pericolo di voler troppo bene agli uomini” (F. CÉLINE, Il dottor Semmelweis).

A parte i santi, bravo sarà il dottore che potrà dire di sé lo stesso del grande medico del XVII l’inglese Sydenham: “Nessuno è stato da me curato diversamente da come vorrei essere curato io, se mi capitasse la stessa malattia” (cit. in: K. JASPERS, Il medico nell’età della tecnica). - Sydenham lo cita anche Ceronetti per un suo consiglio di lettura a tutti i dottori che vorrebbero diventare bravi come lui: il don Chisciotte (G. CERONETTI, Il silenzio del corpo)!

 

Mettendo da parte gli autoritratti più o meno mascherati (specie in Céline e Bulgakov) dei nostri quattro, da ricordare il dottor Clodovitz in Guignol’s Band I, eroe frugale e inapparentissimo di un ospedale caotico e sboccato: “Non tanto vecchio il Clodovitz, però già coi reumi, malaticcio, tutto storto, e artriti in tutte le giunture... Faceva persino ridere i malati con i suoi mali, che faceva dei rumori secchi, degli scrocchi a non finire...”.

Inevitabile citarne parecchio:

 

A tutta birra attraverso le sale, cinque piani, tre volte al giorno, chiedeva passando ai pazienti come andava. (…)  Si chinava dappertutto, su tutto, miope come quaranta talpe, coi grossi occhi bovini che giravano sotto gli occhiali. Quando si metteva a discutere, tutto gli tremava secondo il ritmo delle parole, nervoso di natura, con le orecchie che si muovevano anche loro, tutte staccate, svasate, delle ali per tener su la testa, ma però grigie, da pipistrello. Era davvero sul serio brutto. Faceva paura a certe malate... ma un sorriso gentile, ah! bisogna  riconoscere! Un po’ sorriso da ragazza, mai brusco, mai impaziente, sempre pronto a far piacere, a rendersi gradito, a mettere la parola che ci voleva, contro Destino e fatica... il conforto, il complimento, ai peggio malridotti, sderenati piscioni infermi cronici barboni, sempre delicato con i peggio relitti! con le più scoccianti e ributtanti mine... marce e recriminose, il fondo delle sale dei cronici, dove gli altri medici dello staff ci entravano praticamente mai...

(F. CÉLINE, Guignol’s Band I)

 

In All'ombra delle fanciulle in fiore trovi il dottor Cottard, che - sebbene dai modi non solo spicci ma assolutamente scortesi - guarì il mitico Io narrante del romanzo mastodontico in appena tre giorni da soffocazioni e congestioni. - Apparendo però alla vista affidabile come un tenente Colombo dallimpermeabile atroce, la cauta famiglia del pargolo pensò di disattendere alle prescrizioni, rassegnandosi allobbedienza solo dopo aver constatato lassoluta mancanza di risultati altrimenti: E capimmo che quell'imbecille era un grande clinico.

Varrà allora per i medici non solo di Proust quanto raccomandava Mao-tze-tung cattivissimo per i gatti: non conta il colore ma che prenda i topi! - Il dottor Céline dubitò fino alla fine che la gente fosse così intelligente.

 

Stessa virtuosa invisibilità nel dottor Osip Stepànyc Dymov, “un uomo semplice, molto ordinario e per nulla notevole”, “Un essere taciturno, remissivo, incomprensibile, spersonalizzato dalla propria mansuetudine, privo di carattere, debole per l’eccessiva bontà” (A. ČECHOV, La salterellona), di cui tanto meno la moglie, che avrebbe amato piuttosto qualche eclatante dandy protodannunziano, riconosce il valore:

 

Era medico e aveva il grado di consigliere titolare. Lavorava in due ospedali: in uno come interno aggiunto, nell’altro come dissettore. Ogni giorno alle nove di mattina a mezzogiorno riceveva pazienti e lavorava in reparto, mentre dopo mezzogiorno andava con il tram a cavalli all’altro ospedale, dove apriva i pazienti morti. (Ib.)

 

Così, solo quando morirà, il lutto stupefacente di tutti i colleghi ferirà almeno la vanità (“Te lo sei fatto scappare! Te lo sei fatto scappare!”) della fatua signora, una specie di Madame Bovary realizzata, che però ha sposato un medico bravo.

 

Varrà allora l’idea del giovane Céline, che “la Medicina, dopo tutto, non può dare che scarso lustro” (F. CÉLINE, Il dottor Semmelweis). Ma, se non la Medicina, cosa?

 


 

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