"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9, dicembre 2004

 


  Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 

 

13.  Tuba mirum

 

 

 


 

Bulgakov

 

“come la tuba di Virgilio suona”

(L. Ariosto, Orlando furioso, XXXV, xxvi, 2)

 

Il verso del Furioso è messo qui perché anticipa, profeticissimo,  tutta la storia essenziale di Bulgakov. 

Ariosto, infatti, fa dar per certo, addirittura a Giovanni Evangelista l'apocalittico, che i poeti son più potenti dei potenti. Solo i virtuosi dell’endecasillabo e del madrigale possono infatti affatturare trucchi buoni per gabbare la morte e l’oblio: più forte della cacofonia del cosmo, prima della tromba del giudizio suonerà solo la tuba di Virgilio! - Vecchio discorso, in realtà, con cui i poeti provan da sempre a piazzarsi a corte, marketing che qui è ìlare, e che qualcuno in delirio d’onnipotenza romantica (un Foscolo?) avrebbe in seguito preso un po’ troppo sul serio.

 

Comunque sia: è un fatto che con Ariosto la morale dell’evangelista del Logos è al limite del truffaldino e dell’iperbole cialtronesca. - Altro che Nietzsche e Derrida: in tutta la prima parte di quel XXXV canto, Giovanni dice al serafico Astolfo che c’è poco da fare: che alla lunga, più in là del celere sfarsi delle cose nel tritatutto del tempo, sopravvive solo la calunnia detta meglio!

 

Bravo Ariosto, ma sfrutta anche lui l’adagio da tabloid secondo cui niente è più inedito dell’edito: perfino Aristotele infatti già lo diceva che di una cosa sopravviverà solo la favola! Anche se, certo, una cosa è restare così filosoficamente sulle generali, un’altra è farci sapere, tanto per non far nomi, che Penelope era una puttana e che giusto l’immenso Omero poteva mettere a posto le cose.

 

Come dunque s’intuisce, la merce del tipo Bella Calunnia è roba che non s’improvvisa: reperibile appena presso professionisti sopraffini, più rari dei nostradamus dei presidenti d’America e dei neurochirurghi delle amebe!

Tra Putin e Pisolo, Pugaciov e Putifarre, l’Alzheimer universale fa e disfa i suoi poveri puzzle tenendo per base un lurido Lete; resta come solo  fatto ragionevolmente acquisito - vox libri! - che il Diavolo sia stato almeno negli anni Trenta a Mosca. - Ecco: quante divisioni (o erano corazzate?) aveva il manoscritto? Meno del papa, pare, eppure.

 

Veniamo così al dunque.

Come i suoi lettori sanno, l’essenziale della storia del Maestro e Margherita è dentro il romanzo, la cui stupefacente scoperta - roba da fisica dei fotoni - è che, soprattutto se bruciano, i manoscritti non bruciano. Proprio la storia del libro di Bulgakov fuori del libro potrebbe esserne una conferma così eclatante da suonar buona perfino per quelle trasmissioni misteriche, tra fumi di fanta-medium e fiati di finti morti, che piacciono a tutte le tivù.

 

Ecco il canovaccio: nella primavera del 1939 Bulgakov, già malato, legge a pochi intimi i capitoli di quel suo libro imprevedibile: “ricordo i volti degli ascoltatori, l’espressione dei loro occhi, e una nettissima sensazione: la voglia di saltar su, di lanciarsi verso chissà dove, di raggiungere qualcosa, di convincersi di qualcosa…” (così il drammaturgo Aleksej Fajko, testimone del fatto). 

Bulgakov muore l’anno dopo. Per un quarto di secolo, esistette solo la copia della vedova (“un dattiloscritto con più strati di correzioni autografe”); tra i pochissimi che l’ebbero in  prestito ci fu Anna Achmatova

 

Negli anni Sessanta, la diffusione della storia del diavolo che scompagina Mosca fu un caso classico di samizdat, staffetta tra copisti in cui ci siamo imbattuti già parlando di Brodskij.


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