"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9, dicembre 2004

 


  Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 

 

16.  “Ne to” & “Poslost”

 

 

 


 

 

“Čechov era un uomo feroce” 

(I. SEBALDI, “Introduzione” a

A. ČECHOV, Racconti, Mondadori)

 

 

Sulla ferocia, forse vale la pena azzardare due concetti laconici in russo e appena parafrasabili per noi. Il primo è “ne to”, ovvero (rubando sempre da Sebaldi): “ciò che non è quello che ci vuole e che si vorrebbe”. L’altro è “ploslost”: “scadente, posticcio, banale, scipito, pretenzioso, di cattivo gusto” (V. NABOKOV, Gogol).

 

Dopo Gogol e Baudelaire, sarà tra “ne to” e “ploslost” il nuovo regno della letteratura? - E questo sarà mica perché, ascesa la borghesia fino alla cima del mondo, la “Bellezza”, cacciata nel suo bottino di guerra, fu presto messa a far da tappezzeria alle case dei giudici e dei notai, dei medici e degli avvocati, come nella nuova reggia pietroburghese di Ivan Ilic?

Come un’Emily Dickinson di bianco vestita, l’arte allora si ritira: lascia l’osso della “Bellezza” a chi se l’è ormai pappato, e se ne va dove sarà più difficile stanarla: nel repellente, nella provocazione, nel nulla...

 

In una lettera di Čechov all’amico Suvorin (7 gennaio del 1889), si capisce che quel figlio d’un droghiere dispotico si fece medico perché affascinato dai significati anche simbolici delle guarigioni: quei singolari eventi, cioè, in cui il passato viene perfino del tutto emendato. - Allo stesso tempo,  Čechov divenne scrittore perché abitato dal pensiero opposto: che “il mondo così come appariva a lui attraverso le lenti di quella sua storia non narrabile fosse il mondo così com’è davvero, così pervaso di desolazione e di vuoto esistenziali, così ne to – per tutti, anche per chi non era mai stato servo – e che il resto fosse soltanto lo sforzo di non vedere il mondo così com’è” (I. SEBALDI, op. cit.)

 

La ribellione al ne to è vana come una crisi isterica in Zio Vanja: livore che ricade greve sulle spalle dell’impotente. Tutt’attorno intanto trionfa, ignaro, indifferente, irridente, inutile, la poslost

 

 

Poslost è in un individuo l’incapacità più o meno volontaria di percepire quella mediocrità quando l’anima e la vita di costui hanno già capitolato dinanzi a essa: quando egli è già divenuto posliàk, e già gode di esserlo, e sugge e trasuda mediocrità, in un’apparente e pestifera ingenuità, o innocenza.” (I. SEBALDI, op. cit.

 

Dostoevskij messianico giura che “la bellezza salverà il mondo”, e Čechov nota che la poslost lo sta distruggendo: “In tutti la distruggerà? In tanti, in quasi tutti; e gli altri dovranno cercane scampo nella solitudine, nello sgomento” (I. SEBALDI, op. cit.).

 

Resta la cattiveria - la vendetta - della descrizione pura, la perfidia del “naturalismo” che specchia il mondo così com’è. Mentre, se uno filosofeggia, vuol dire che non capisce(A. ČECHOV, Una storia noiosa, Mondadori). - Niente pensieri: lattenzione disarmata è la forma più necessaria di odio, la più riscattante: “ogni racconto diventa necessariamente una sfida sperticata, narrare l’uguale, l’insignificante”, con “un’inesauribile gusto da acrobata” (I. SEBALDI, op. cit.).

 

Una volta Čechov, parlando con Vladimir Galaktionovic Korolenko, scrittore buono (e cioè ideologicamente molto pervaso), disse che ormai per lui qualunque cosa sarebbe potuta diventare un racconto: aveva sottomano un portacenere, lo prese e promise un racconto, che in pochissimo tempo fu fatto.

 

Per cose così, necessaria una lingua “precisa come un arrivederci” (V. MAJAKOVSLIJ, I due Čechov).

 


 torna su

  torna a