La
                  buccia francescana della patata e il rosso impudìco del
                  pomodoro apparvero tra noi pian piano e in mezzo a mille
                  mormorazioni e resistenze.
                  Non
                  possiamo non capire: immaginiamo un’astronave americana che
                  scopra su Marte qualche ortaggio lilla a pois
                  intermittenti: la pianta verrebbe coperta in un lampo dal
                  copyright di qualcuno e quindi sarebbe scaraventata,
                  sponsorizzando il segnale orario, le previsioni del tempo e
                  qualche olimpiade, nei nostri agresti supermarket: nonostante
                  il diluvio mediatico, non avremmo anche noi qualche terrore,
                  prima di accettare che ci possiamo fare pizze e tortillas?
                   
                   Eppure.
                  il primo pomodoro immortalato fu un pomodoro di re.
                  1591:
                  nel ritratto ortaggiomorfo che Arcimboldo fece
                  dell’imperatore Rodolfo II, le labbra sono costituite da due
                  pomodorini, diremmo noi, del tipo ”ciliegia”: roba tanto
                  più oggi da palati finetti, mentre sembra che al tempo
                  fossero gli unici conosciuti. La misura niña ne dettò
                  infatti il primo nome scientifico, che alla ciliegia fa
                  esplicito riferimento: “Licopersicum cerasiforme”.
                  Andate
                  a Stoccolma (pur di andare a Stoccolma, questo e altro) a
                  constatare di persona! - La boccuccia vermiglia
                  dell’imperatore, sotto un naso-pera e due baffi-sedano, ne
                  guadagna in grazia che di più non si potrebbe. Imparino le starletts
                  e le divazze che infestano, gremlins in guêpieres, lo spazio
                  poco onirico della tivù, che invece i labbruzzi se li
                  gonfiano a San Marzano (santo di cui qualcuno sa qualcosa?). 
                   
                  
                  Il
                  ritratto di Arcimboldo è la più ottimistica e meravigliante
                  versione di quello che sarebbe potuto essere l’incontro tra
                  la vecchia Europa e il Mondo Nuovo, se questo fosse il
                  migliore dei mondi possibili e non l’aia dove da sempre rùspano
                  i più micidiali figli di puttana (“àtomo opaco del Male”
                  concluse anche l’animuccia falsamente intonsa del
                  Pascoli).
                  Se
                  infatti, invece che da impresentabili conquistadores
                  avidi fino al delirio, ci si fosse andati come fanno le
                  persone per bene in casa altrui… 
                  - Dovevano ad esempio essere già meravigliosi i giri,
                  che almeno qualche missionario fece in tempo a fare,
                  nell’incredibilmente immenso mercato di Tenochtitlàn, la
                  capitale atzeca, oggi sommersa sotto il cancro di Città del
                  Messico. Lì, Bernardino de Sahagún il pomodoro lo vide già
                  ridotto a sugo dalle donne azteche “nella seguente maniera: aji
                  (peperoncino), pepitas (semi di zucca), tomatl (pomodoro),
                  chiles verdes (peperoncini verdi piccanti) e altre cose
                  che rendono i sughi molto saporiti.”
                   
                  Perché
                  deve ripetersi un’epifania inflazionata come una madonnina
                  qualunque che piange rosso, perché qualche bravo cristiano
                  taccia e s’inginocchi, e invece il rosso della salsa di
                  pomodoro non basta a sollecitare l’infinita gratitudine
                  d’un Cantico delle Creature e ad evitare un
                  genocidio? Misterium iniquitatis…