"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3, marzo 2003


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. Proviamo a segnalarne qualcuna

 

 

Per i racconti di Kafka:

 

 

18. Elémire Zolla  

 

 

 

di Malvolio

 

L’usura fa arrugginire il cesello 

arrugginisce l’artefice e l’arte

Consuma il filo nel telaio. 

Pound, Cantos

 

Elémire Zolla –un arcangelo così elegante, così affannato, così perduto tra le sfere– legge in Kafka il grande indagatore del sistema Uomo-massa; del nomade del nord, del barbaro con cui non si può nemmeno dialogare. In una parola l’Odradek del racconto Ein altes Blatt, quel congegno mobile, eppure inebetito, l’essere che non conosce la pienezza della vita vissuta in senso tragico. 

K si domanda: “Può esso morire? Ma tutto ciò che muore ha avuto dapprima uno scopo, una specie di attività, e questo lo ha consumato; ciò non vale per Odradek…non danneggia nessuno scopertamente, ma l’idea che mi debba sopravvivere, mi è quasi dolorosa.”

 

Zolla è affascinato da K. “assicuratore”, lo studia attentamente, per cavarne poi fuori quella critica alla società moderna burocratizzata; che lui stesso dispiega in mille altri saggi imperdonabili, paradossalmente inattuali. 

“Quando l’uomo non agisca per scopi che si possano ricondurre all’idea della sua perfezione, quindi della sua beatitudine, ubbidisce di necessità alla Parola d’ordine”. Ed ecco Kafka a rispondergli nello racconto sopraccitato: “…tutto poggia su un equivoco e grazie a esso noi andiamo in rovina”

La parola d’ordine è l’equivoco! E soprattutto per il suo essere null’altro che un surrogato dello scopo predefinito, sorta di schermo nel quale l’uomo debole, malcerto, proietterà le immagini per lui rassicuranti.  

Ecco l’Uomo Massa – nuovo Odradek - distolto dai Veri dis-Interessi, schiavo della Macchina, dei concatenamenti scricchiolanti descritti minuziosamente nel Castello, in America, nel Processo.

Ecco il mondo della Legge; là dove qualunque atto “inutile”, dis-inutile, è proibito perché improduttivo; dove si è condannati in un Processo che è come un unto incancellabile a gravarci le spalle, macchia resistente a ogni possibile lavacro. 

Così, in Eclissi dell’intellettuale e in Volgarità e Dolore, Zolla scopre in Kafka il punto di fuga dalla catena: ”l’unica risorsa sarebbe l’immobilità, l’ignorare la folle accusa, ma K. si professa innocente e la guardia ghigna: Dunque ammetti di conoscere l’accusa”. 

L’uomo condannato alla massa non può, infatti, dubitare del parere di un esperto, soprattutto se tutelato dalla posizione burocratica, dal Codice, dalla Cifra, dal Ministero; egli può soltanto accodarsi, professare acriticamente il proprio favore agli uomini “utili”, acclamati come “provvidenziali”.

Zolla indica così il rifugio nell’Accettazione incondizionata, quel “consuonare rassegnato” con la Macchina; e lo scopre nascosto ma scintillante nei misticissimi Quaderni in Ottavo (III), là dove il mondo burocratizzato è definitivamente disintegrato: “quando una spada ti trafigge l’anima, importa conservare l’occhio calmo, non perdere sangue, accogliere la freddezza della spada con la freddezza della pietra. Attraverso quella trafittura, dopo quella trafittura diventare invulnerabili”. 

Non vale dunque più il monito di San Nilo abate, tanto caro a Zolla: “Colui che si disperde nella moltitudine ne torna crivellato di ferite”. Il Terrore del Processo è superato, poiché la “Rassegnazione” può essere una forma di altissima protesta (Deleuze). 

E non si dovrà mai più cedere alla dialettica del servo/padrone, del cittadino/Codice; al contrario, peritarsi di trovare una controfigura convincente, una capace d’esser spedita in avanscoperta; un’impassibile controfigura, esattamente come nei migliori racconti di Villiers de l’Isle-Adam. 

Una altro sé che consenta al Sé “di astrarsi dall’ipnotizzante molteplicità dell’esistenza e ritrarsi nella sua unicità che coincida con l’unità primordiale” (Zolla ne L’amante invisibile) 

Come dire, nel riposo silenzioso del proprio respiro, finalmente gioire.

 

 

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