5.
        Le tre sorelle
         
        Pochissime
        pagine su Mozart (anzi, Mozzart: se Galiani l’ha infranciosato, tu
        l’hai iperintedescato; gli altri lo impreziosivano di h, d, t); e
        anche lui ti ricorda una sol volta nelle lettere. Pochissime pagine,
        mentre ti dilunghi su Salieri e su Martini, un Martìn y Soler.
        Lasciamoli in pace.
        «Io
        non posso mai ricordarmi senza esultanza e compiacimento che la mia sola
        perseveranza e fermezza fu quella in gran parte a cui deve l’Europa e
        il mondo tutto le squisite vocali composizioni di questo ammirabile
        genio.» Sbruffone? Non direi. Nell’estate ’89 l’imperatore,
        dissanguato dalla guerra contro i turchi, aveva decretato la chiusura
        dell’Opera italiana. A te «entrò
        nella testa l’ardito pensiero di fargli cangiare consiglio». E glielo
        facesti cangiare. Pochi mesi dopo fu rappresentato il Così.
        I
        libretti. Tre piccoli capolavori, tre saldi legni nel procelloso oceano
        dell’opera. Destinati a essere piccoli capolavori.
        Una
        trilogia d’amore. E tu eri maestro dell’amore.
        La
        tua coscienza di poeta di teatro. Sapevi bene che il libretto, per sua
        stessa natura, ha una diversa prosodia: non rimette e strofette che il
        musicista, spinte o sponte, doveva tradurre in note; non versi per
        musica: versi di musica. Scene che non siano semplice ingresso dei nuovi
        personaggi; concertati che non siano confuso coro, ma intreccio di
        singole, vitali voci. Una tavola insomma, imbandita per la vorace
        fantasia del musicista.