“Il
              terzetto Don Giovanni, Zerlina, Masetto (un aristocratico e due
              contadini, promessi sposi) corrisponde perfettamente a quello di
              Don Rodrigo, Lucia, Renzo. Ma come il paesaggio è cambiato! La
              conquista di Zerlina, promessa sposa, viene organizzata in una
              festa da ballo, tra minuetti, valzer e contraddanze, tra vini
              donne e champagne, in una dionisiaca esaltazione dei sensi. Il
              rapimento di Lucia è la trama di un oscuro è
              un “tristo piano” cui partecipano tanti personaggi, quasi si
              trattasse di rapire un grande di Spagna. La sala illuminata per
              una gran festa è divenuta un monastero, come 
              nei romanzi neri.” (G. MACCHIA, Tra
              Don Giovanni e Don Rodrigo, Adelphi).
               
              Come
              si vede, Giovanni Macchia scriveva sempre da gran signore.Ma
              Arbasino, scrivendo in fondo le stesse cose un decennio prima, fa
              più ridere: 
               
              “Come
              fa Don Rodrigo (e con lui il suo Autore) a non accorgersi che i
              casi sono inevitabilmente due? O si fa Sade, potendo. Benissimo! E
              allora: rapimento, prigione, catene, tormenti, fruste, clisteri,
              violenze oltraggiose e orribili, sorde a ogni pietà. Oppure:
              marineria! Rose, visoni, champagne, marrons glacés. Invece,
              stupidamente, minacciare il parroco? Show inutile e falso
              bersaglio! E, infatti, i risultati, si vedono.
              “Così
              non si capisce bene, fra l’altro, che cosa interessasse
              veramente a Don Rodrigo. Anche qui, parrebbe, delle due l’una. O
              anelava a “violare l’intimità di una coppia”, cioè
              inserirsi in una tensione sessuale in atto, come sovente càpita a
              coloro che in amore prediligono non il duetto ma il trittico
              (…). Oppure, probabilmente, dato il suo comportamento
              costantemente contorto, Don Rodrigo era uno dei masochisti più
              sventurati.”
               
              E
              anche:
               
            “Che
            differenza non solo di chic, fra i due Don, ma di accortezza! Don
            Rodrigo cerca di trattenere Lucia con chiacchiere non punto belle, e
            viene punito in questa sua rustica grossolanità: povero untorello,
            non ottiene nulla di nulla. Don Giovanni invece: “Là ci darem la
            mano, là mi dirai di sì…” e senza l’importuno arrivo di
            Donna Elvira otterrebbe sicuramente tutto, grazie alle astute
            maniere non disgiunte dalla signorilità del tratto. Infatti Zerlina
            ci sta e ci spera (“Vorrei e non vorrei, mi trema un poco il cor,
            felice è ver sarei, ma può burlarmi ancor”); e la didascalia del
            Da Ponte precisa: “si incamminano abbracciati verso il casino”.
            E subito, macché pasto trucibaldo in “covili da fiere” tra
            “omacci tarchiati e arcigni”, e “donne con certe facce
            maschie, e con certe braccia nerborute” (figurarsi la povera
            Lucia, in quell’antro di lesbismo alpinistico da maso chiuso!
            altro che la nottataccia con la povera strega dell’Innominato!)
            Invece chez Don Giovanni,
            appunto lo champagne, nella celebre aria omonima: “Finché han del
            vino – calda la testa – un gran festa – fa preparar!” E giù
            orchestre, danze, “signore maschere”, galanteria…” (A.
            ARBASINO, Certi
            romanzi).