Insomma
          il protagonista maschile vorrebbe raggiungere un certo dominio di sé
          ma l’amata, vera forza naturale distruttiva, gli è di ostacolo
          impedendogli di realizzare la ‘vita nuova’ a cui egli aspira. Solo
          la morte, e qui il vate non è nemmeno un po’ originale dopo gli
          eccessi romantici (si pensi alla ‘Belle dame sans merci’) e
          decadenti anche in pittura (‘Lady Lilith’ di Dante Gabriel
          Rossetti) lo libererà dal giogo sensuale di Ippolita. Lei è come
          ‘un male sacro, il morbo astrale’ tutti ingredienti necessari per
          giustificare l’ingenuità bonaria del povero Adamo di turno. Queste
          donne rovinauomini non sono particolarmente belle, non bellezze
          canoniche, né madonne naturalmente. Il loro fascino sta nella torbida
          attrazione che esercitano sui loro amanti. Del resto, l’idea, quella
          geniale davvero, viene dalla ‘dark lady’ di Shakespeare che,
          esasperato dalle descrizioni angelicate dell’amor cortese dove
          bellezza è coniugata a bontà, si libera dello stereotipo e, con
          tocco sapiente,  stupisce
          il lettore presentando nel sonetto CXXX una donna dai 
          ‘capelli di fil di ferro neri’, ‘il seno bruno’ e
          l’alito sgradevolmente cattivo che ’nel fiato di lei aulisce.’
           
          A
          riparare tanti sbreghi di immaginari febbricitanti e deliranti qualche
          voce femminile verso fine ‘800, con profetica lucidità, tenta di
          togliere alla donna questa etichetta di ‘fausse couche’. Quello
          che affascina è la non asprezza del tono e la non condanna fuori
          luogo dell’altro sesso. L’esule russa Anna Kuliscioff (nonostante
          il cognome ammiccante non aspira a fare la danza dei sette veli) se ne
          esce nel 1890 in una conferenza presso il Circolo Filologico Milanese
          (riportata poi su ‘Critica Sociale’ rivista che Turati, suo
          compagno, dirige in quegli anni) parlando di giustizia sociale, di
          eguaglianza civile tra gli esseri umani. Non odio, non rivalsa ma
          aspirazione ad ottenere cooperazione cosciente 
          degli uomini sensibili, emancipati dalla consuetudine e dai
          pregiudizi, disposti a riconoscere che anche le donne possono essere
          degne a sé senza essere per forza relegate nei 
          soliti ruoli di angeli senza ombra o peccatrici mai redente. Un
          far posto insomma alla capacità di astrazione e creatività della
          donna e non solo alla sua innata intuizione e propensione ai
          sentimenti.
          Anche
          questi pensieri servono forse a far capire come la letteratura di fine
          secolo cercasse di difendersi dalle diverse anime che le donne,
          allora, cominciavano a svelare. Tante Salomé per esorcizzare
          l’anelito di libertà che fibrilla da sempre nella parte più
          delicata di ogni creatura : maschio o femmina che sia.