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           La
          Musona della Musica 
            
            
            
          Leonard
          Bernstein, 1956 
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          A
          Oriente di
          Lenny 
              
            di Sophonysba Poliakov 
           
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        Quanta
        Russia, quanto Oriente in Leonard Bernstein 
        del Massachusettes! (E dove tutti sentivano lo Yankee estroso ed
        estroverso, qui si è sempre sentito, appena un po' più sotto, qualcos’altro).  
          
        Perfino
        io so che biografare vuol dire esagerare, ma da dove veniva il Lenny di
        “West Side Story”?... Ebrei russi, schiatta secolare di rabini di
        Volìnia, che per guizzo d’uno zio più sveglio si ritrovò
        all’inizio del Secol Breve nel sollievo del Mondo Nuovo:  1908,
        un Herschel Bernstein, stufo di patire all’ombra
        costante del pogrom, sotto occhi fissi di febbricitoso odio
        dostoevskiano, fuggì dove il mondo era un altro… Da quella Terra che
        tutto prometteva fu esaudito con una paradisiaca bottega di barbiere:
        chiamò allora a sé il resto della famiglia, e questa tutt’intera
        andò a piedi dall’Ucraina  fino a Danzica!… Traversato l'Oceano, quel povero nido
        d’Oriente vorticosamente s’americanò: ma “bernstein” vuol
        sempre dire “ambra”, e può l’ambra non portare in sé la foresta
        che la suggellò? 
             
           
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            Era
            il 1908. Samuel, il futuro babbo di Lenny, da pulitore di pesce al
            mercato salì ben più in alto, con tutto l’orgoglio di chi dalla
            miseria si scaturisce da sé. Leonard nacque il 25 agosto del
            1918, e, malgrado un padre che contro la musica aveva nel sangue
            tutte le parole del “popolo dei topi” di Kafka, fu un musicista:
            gli bastò -
            bimbo di otto anni - l’organo della sinagoga durante le funzioni. 
        L’Oriente
        da allora lo sostenne in ogni istante: anime russe, magiare, greche,
        ebree gli fecero da angeli: studiò il piano con Isabella Vengerova, la
        direzione con Mitropoulos di Atene, con Frizt Reiner di Budapest, e con
        il supremo Sergej Koussevitzsky che
        aveva fatto d’una Tanglewood qualunque il cuore musicale dell’ancora
        neofita America…  
           
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        Gran
        posto, gran ricettacolo, fu sempre per noi d’Oriente l’America!… 
            
        Non importa quanti di quei nomi si siano svaporati e chiamino al culto
        appena un po’ di noi ultimi fedeli: questo davvero non importa, perché
        anche quando sembrerà che non c’è più nessun Oriente, resterà
        nell’aria il mistero, la magica polverina: 
            e il nonsoché di struggenza ed euforia, e il morir sensuale nel
            ghirigoro del violino magiaro, e il far feste giudee nel deserto ironico di Dio, col clarino del senzaterra che ciabattando le
            abbracciò tutte: nostalgia più vecchia del mondo, fuga come vago
            ritorno ammesso al “lontano da dove?”… Chiaro che tutto questo
            esplodeva in Lenny quando la musica era di Gustav Mahler, dove non
            si “esagera mai abbastanza”, ma non solo lì... 
          
             
           
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            (Lo
            so, avrei dovuto scrivere di Bernstein e Mozart: soprattutto dell’incanto
            di quando suonò e diresse il concerto per pianoforte e orchestra n.
            15 in si bemolle maggiore, K. 450… era il 1967, disco Decca più
            volte ripresentato al mondo… ma
            ce
            ne sarà, prima o poi, il tempo). 
              
            *** 
           
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          Mosca
          1959: Lenny con la moglie Felicia e Boris Pasternack 
            
           
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