“Un
          grande artista non cita, ruba” (Picasso).
          E
          infatti Da Ponte e Mozart si tengono stretti al libretto di Giovanni
          Bertati per il Don Giovanni di
          Gazzaniga: opera freschissima, andata in scena a Venezia nel gennaio
          del 1787 (Mozart esordirà a fine ottobre): “libretto al quale
          quello di Da Ponte si avvicina scena per scena, spesso parola per
          parola” (A. Lanapoppi, Lorenzo Da Ponte).
          Bertati
          non era certo uno qualunque: sarà, per ricordare giusto il meglio, il
          felicissimo librettista del Matrimonio
          segreto di Cimarosa: l’opera più bella del mondo per Stendhal.
          Tutti
          conoscevano la storia di Don
          Giovanni, il lussurioso che deride l’Aldilà e che viene
          risucchiato nell’inferno: tema ottimo soprattutto per il
          “popolazzo” guardone, assetato sempre di sesso superstizioni e
          medioevo. Il tema sarà stato poco fine per l’intelighentja europea tra Sei e Settecento, ma ebbe da subito una
          forza animalesca che impressionava chiunque, anche se raffazzonando e
          senza talento, ci si provasse. Per farci un po’ d’ordine – ma
          invano –  avevano
          provato a riscriverlo Tirso da Molina, il primo, e poi perfino Molière
          e Goldoni.
          Ancora
          nel 1815, Goethe raccontava che quando era a Roma tutti andavano a
          teatro a vedere la storia del Seduttore Punito: “un’opera Don
          Giovanni (non quella di Mozart) veniva allora replicata ogni sera per
          quattro settimane, facendo tale rumore nella città che non c’era
          famiglia di commercianti che non si fosse recata con armi e bagagli a
          vedere Don Giovanni arrostire nell’inferno e il governatore
          andarsene, anima eletta, al cielo” 
          (GOETHE Epistolario).
          Ottimo
          riassunto.