Una
          bella definizione del libretto mozartiano la dà Stendhal parlando
          della Pietra di paragone di
          Rossini:
          “Il
          libretto è buono; anche qui, una serie di situazioni forti che si susseguono con una rapidità deliziosa, e sono spiegate
          molto chiaramente, con poche parole; spesso queste parole sono
          comiche. Tali situazioni, benché vivacissime e rivolte direttamente
          alle passioni e ai gusti abituali dei vari personaggi, non si
          allontanano dalla vita reale e delle abitudini sociali di questa
          felice Italia, così fortunata per quanto riguarda il cuore, e così
          infelice a causa dei suoi tirannelli!” (Vita
          di Rossini).
          
          A
          parte il vizio del vecchio giacobino di buttarla sempre in politica,
          ci siamo: situazioni forti, rapidità, poche parole, vicinanza alla
          vita così com'è.
          Detto
          ciò, un libretto deve soprattutto aizzare muse musicali, il che non
          è in ogni caso un merito da poco soprattutto se si tratta non di
          imbastire allegramente un po’ di rime che facciano da pretesto ad
          arie per la pirotecnica e astratta bravura di tenori narcisi, ma di
          obbedire alla logica di un dramma musicale coerente, pieno di suspense
          e affascinante come una commedia di Shakespeare. 
          
          Un
          percorso accidentato: all’epoca dell’Idomeneo,
          Mozart aveva tormentato l’abate Varesco per ottenerne ritocchi e
          cambiamenti; e prima aveva chiesto a Stephanie di modificare a fondo Il Ratto. Nel 1781 scrive al padre: “L’ideale è quando si
          incontrano un buon compositore, che s’intende di teatro ed è in
          grado di dare un suo contributo, e un poeta intelligente, una vera
          araba fenice. E allora non ci si dovrà certo preoccupare
          dell’approvazione degli ignoranti”.
           
          Quanto
          a Da Ponte, solo quando Mozart divenne sorprendentemente amato e
          famoso, e il vecchio “abate” si ritrovò a sperare almeno in un
          po’ di luce riflessa, scrisse un paio di cose a proposito dei tre
          libretti scritti per lui:
          “Osserverò
          soltanto che Mozart dovette esserne soddisfatto, perché dopo il
          nostro primo e secondo dramma fu felice di averne un terzo; che li
          nobilitò con “una veste di note dilettevoli” le quali piacquero
          anche a voi; e che su altre parole avrebbe certamente composto altra
          musica. Musica migliore, forse; ma questo resta da vedere”  
          (L.
          DA PONTE, An Extract).