"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio 2004                                         


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

L'Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi 

 


 

14. Charles Darwin

 

 

 


 

 

“...e se non pensa in ver né sente

il topo o il can, di dubitar concesso

m’è del sentire e del pensar mio stesso.”

(Batracomiomachia, VII, 13)

 

Quale incontro mancato, e che fantastico divertimento è stato tolto a noi altri da un Dio per l’ennesima volta in vena di avarizia! 

 

Perché Leopardi di Darwin sarebbe stato il cantore geniale e irriverente, il bardo perfetto da gettare nella zuffa inevitabile, dopo la scoperta che l’uomo non decadde da un angelo ma emerse - giusto ieri e ancor non s’è ripreso! - da una scimmia più sciammannata delle altre!

Leopardi lettore dell’Origine delle specie avrebbe trovato conferme perfette delle sue intuizioni del lato non solo scimmiesco ma volatile dell’uomo, come di quello pre (o post?) umano degli uccelli!

Giochiamo a fare i plutarchini e dunque notiamo che le date dei due in buona parte quasi coincidono, anche se Leopardi, più vecchio di una decina d'anni, precede sempre l'inglese di un paio di lunghezze.

Infatti, quando Leopardi scrive lo scandaloso Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco (1825) in cui il nostro mondo appare appena come uno degli infiniti possibili, Charles Darwin sta per iscriversi alla facoltà di medicina di Edimburgo, che abbandonerà però disgustato nel 1827: proprio mentre Leopardi scrive Il Copernico e il Dialogo di Plotino e di Porfirio.

Quando poi Darwin comincia il viaggio sul Beagle, il 27 dicembre del 1831, a Leopardi, che ha pubblicato da pochi mesi la prima edizione dei Canti, manca una sola pagina per chiudere definitivamente lo Zibaldone.

Il 1836 è l’anno in cui, mentre a Napoli esce la seconda edizione delle Operette morali, subito del resto sequestrata dalla polizia, Darwin torna dal suo lungo viaggio in Inghilterra: è ricco di materiali e di taccuini. Soprattutto, coltiva la fondamentale intuizione sui fringuelli delle Galapagos, tutti forse discendenti da una stessa matrice. 

Ma, mentre il Leopardi che nell’Elogio ponendo gli uccelli in cima alla scala degli esseri fa la figura di un poeta con l’hobby pedestre e domenicale d’una filosofia cialtrona,  la nuova osservazione degli uccelli di Darwin sta per generare un terremoto universale peggiore perfino del cosmo senza centro e senza bordi di Copernico...

E, ahimè, quando, nel 1859, esce  The Origin of Species, Leopardi è già morto da ventidue anni, e certo nessuno ricorda i testi che subito andiamo a riassumere.

La visione del regno animale come un unicum in cui le specie si dispongono secondo differenze appena graduali e mai di sostanza, è presente in Leopardi già in scritti infantilissimi, come la Dissertazione sopra l’anima delle bestie (1811), scritta ad appena 13 anni e in cui si legge che “sembrami di poter concludere con sicurezza, che la sentenza, la quale afferma esser l’anima dei Bruti uno spirito dotato di senso, di libertà, e di un qualche lieve barlume di ragione è certamente più probabile di ogni altra”.

 

Ancora una volta, cosa fosse il genio di Leopardi è davvero misterioso anche solo provare a intuire. E stupefacente è la circolarità tra questa conclusione d’un testo precocissimo, e quanto si legge nei Paralipomeni della Batracomiomachia di ventidue anni dopo (1833), ove di nuovo tra animali (i “bruti”) e uomini le differenze sono riconosciute appena come gradazione di una stessa sostanza.

 

“Certo esser dee che dalla intelligenza

De’ bruti a quella dell’umana prole

E’ qual da meno a più la differenza,

Non di genere tal che si rigetta

La materia un di lor, l’altro l’ammetta.” (VII 12)

 

Tornando indietro, proprio “scimia” era l’uomo già nel Dialogo di un cavallo e un bue (1820), mentre nelle Operette vere e proprie il dileggio per la specie che s’ostina a credersi più immagine d’un dio inventato che parte della comune famiglia di piante ed animali, è sparso un po’ ovunque, e soprattutto nel divertimento di descrivere una Terra dove l’umanità s’è da tempo naturalmente estinta.

La certezza (Zibaldone)che scienza e arte siano accomunate in una stessa intuizione poetica della natura trova proprio in Leopardi conferme abbaglianti.

E non solo con Darwin: ogni fisico può raccontare la coincidenza totale tra il Cantico del gallo silvestre e il secondo principio della termodinamica che Carnot definì - casi cosmici - nello stesso anno in cui Leopardi scrisse l’operetta, il 1824. 

 


 

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