"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio 2004                                         


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

L'Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi 

 


 

 

3. Carlo Collodi & Giovanni Pascoli 

 

 

 


 

Volano di qua e di là dell'Appennino gli stessi uccellacci e uccellini. 

E dunque Pascoli e Collodi (nel 1883 Le avventure di Pinocchio, nel 1890 Myricae) ci raccontano ornitologie quasi identiche: civette, galline, corvi, picchi... anche se va detto che, rispetto al cielo magico ma meschinello come la casa di Geppetto di Pinocchio, quello di Pascoli è un’uccelliera paradisiaca: rondini e rondinini, zigoli e fringuelli, e allodole e usignoli, e cuculi e capinere, e poi passeri, pettirossi, assiuoli... 

Arbasino irresistibilmente infierì: “qui c’è solo pio-pio e cip-cip!”, per cui giù sarcasmi su “questa fissazione - tipicamente bambinesca - sugli uccelli e uccellini in un anziano professore scapolo!” (A. Arbasino, Altri romanzi)

 

Come si sa, tanto in Pascoli che in Collodi gli uccelli parlano. Anche se, nel caso di Collodi, col vantaggio indiscutibile di preferire frasi chiare e compiute, e certo per non lasciare alibi di disobbedienza al burattino furbastro.

A Pascoli invece bastano versi che solo a colpi di balbuzie insistite permettono fraintendimenti finalmente compiuti: così, e un po’ come accade nei film di Totò, un FR-FR diventa FRATTE, ma anche FRANCESCO, e un CHIU’ si fa PIU’ e FU e LAGGIU’... per non dire dei VIDEVIT, dei TR-TR e del CInCIn-potaCIN-pota, che sarebbe poi il verso della cincia!...

Ora, se le ambiguità – come dicono i professori – fonosimboliche di assiuoli e fringuelli pascoliani permettono tutto uno sdilinquirsi di suggestioni, il dovere ingrato dell’educazione del legnetto ipercinetico causa, almeno all’inizio, una strage sistematica delle cassandre! - Fatto subito fuori il Grillo, muore infatti la Fatina inascoltata, e muore il Merlo bianco, ingoiato al volo dal Gatto subito dopo aver vanamente avvertito Pinocchio cosa lo avrebbe atteso se avesse creduto alla ciancia del Campo dei Miracoli.

 

La civetta pascoliana è addirittura silenziona e resta appena “con gli occhi aperti sopra il triste mondo / addormentato”. In Pinocchio invece è addirittura addottorata, e, chiamata col Grillo redivivo e il dottor Corvo, a consulto sul cadaverino del povero legnetto, proprio col dottor Corvo ci concede un caso fantastico di tautologica dottoresca saccenza (e anche qui Totò e Peppino paiono profetizzati):

 “Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione”, dice infatti il dottor Civetta, ma il dottor Corvo: “Quando il morto piange è segno che gli dispiace di morire.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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