"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4, aprile 2003


 


 

15. Morire

 

 

“A ragione si è voluto recentemente mettere in relazione con il Don Giovanni l’ultima lettera di Mozart al padre, piena di considerazioni sulla morte. In tal caso conviene però considerare l’opera come completamente negativo della lettera. Al padre Mozart presenta la morte come bonaria amica dell’uomo, mentre la musica del Don Giovanni ce ne descrive tutti gli orrori. Si vede chiaramente come vi fossero per lui delle ore in cui, a onta di tutti gli insegnamenti massonici, prendeva il sopravvento la componente goethiana della sua natura, quella positiva nei confronti del mondo sensibile.” (H. ABERT, Mozart). 

 

Sembra chiaro che Abert pensa solo alla morte del Dissoluto. Ma l’opera comincia con la morte del Commendatore, sulla quale Jouve ha scritto: “nel modo in sui si volge questa morte iniziale, questa morte che determinerà il dramma, stupisce l’impressione di luce. Senza alcuna immagine di trascendenza, la morte ci conquista con la sua dolcezza; in quest’istante vediamo compiersi la morte bella e giusta, e questo compimento (per l’anima di Mozart come per la nostra) ha un carattere di profonda seduzione Il silenzio che si crea, lo straordinario placarsi delle linee musicali. Mozart li medita: osserva l’ingresso nell’infinito attraverso la porta della trasparente immobilità e ne sente l’attrazione. E’ ciò che l’orchestra alla fine dice lentamente in due grandi sospiri di forma cromatica, con gli oboi e poi con i flauti, più freddi” (P.-J. JOUVE, Il Don Giovanni di Mozart, Adelphi).

 

Non sarà certo l’idea della morte di don Giovanni, che tutt’al più ne penserà qualcosa appena morendo. Per il Dissoluto varrà quest’inattaccabile pensierino del suo collega Casanova?

 

“...vi confesso che non ne so nulla; e che se per sapere se sono immortale debbo morire non ho premura di giungere alla conoscenza di una simile verità. Una verità che costa la vita costa troppo. Ma se mi capiterà dopo la morte di sentire ancora, non ammetterò mai di essere morto…”

(Lettera, a un anno dalla morte, a Elisa von der Recke).

 


 

            

  

 

 

 

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