"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4, aprile 2003


 

 

Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e W. A. Mozart

 

 

11. Son tenera e fresca...

 



 

Tour de force non da poco fu scrivere (a sentir Da Ponte, appena negli intervalli di tempo che si concedeva nel godimento d’una servetta di sedici anni) tre libretti in un sol colpo e in pochissimo tempo. Si tratta dell’Axur per Salieri, de L’arbore di Diana per lo spagnolo Martin y Soler, e del Don Giovanni per Mozart.

Se c’è già il giusto brio, la fretta è un’ottima Musa, e infatti Da Ponte considerò proprio uno di quei tre libretti il suo migliore in assoluto: è l’arcadico L’arbore di Diana, “voluttuoso senza essere lascivo” (Memorie). 

Sotto spoglie mitologiche, come allor s’usava, Da Ponte lodava qui la soppressione che Giuseppe II aveva voluto dei monasteri di clausura. 

Ecco la storia: la casta e altera dèa della caccia Diana regnava con la sua corte di ninfe in un giardino meraviglioso. Nel giardino c’era un melo che faceva frutti d’oro. Se però una ninfa che aveva peccato contro la castità, foss’anche solo col pensiero, vi fosse passata sotto, le mele si sarebbero fatte nere e sarebbero cadute a terra di colpo. La cosa seccava naturalmente le ninfe, molto più lascivette della dèa; e seccava moltissimo proprio Amore, obbligato a evitare il giardino. 

Amore affidò allora i suoi dardi a un pastorello più bello d’un Adone che, libero di entrare nel giardino, fece innamorare proprio Diana. Così, quando la dèa passò sotto l’albero delle mele d’oro, queste si annerirono e caddero tutte al suolo, scoprendola. La dèa – siamo al finale – abbandonò quindi ogni ingiusta severità, spalancando ad Amore le porte del suo magnifico e non più sterile giardino. 

Così canta una delle ninfe:

 

Son tenera e fresca,

ho spirito e brio,

provar voglio anch’io

di fare all’amor.

 

Applausi scroscianti.


 

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