"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007                                         


 n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

22. Gadda

 

 

 

 


«Lo Shakespeare, in Amleto, interpreta la migrazione verso l'assoluto come un cessare dell'attività finalistica: dall'essere del monologo al non essere pratico ed etico.

Per meravigliose risonanze sentimentali il non essere (morire, dormire, forse sognare – to die, to sleep; - to sleep! Perchance to dream!) appare, allo spirito esausto dal veleno della vita attuata, come un riposo:

 

     The potent poison quite o’er-crows my spirit.

 

Il compagno di gioventù (antistrofe affettiva nella economia del dramma) comprende e quasi con superiore chiarezza ammette il fato, consente alla morte. Non piange, non urla, non secerne untuosi conforti: solo proferisce le parole della puerile bontà:

 

  Good night, sweet prince,

  And flights of angels sing thee to thy rest!

 

«E voli di angeli cantino per il tuo riposo.»

La morte individuale è qui poi elemento di una ulteriore significazione: immagina il poeta che una feroce fanfara, la volontà luminosa di giovinezza, sopravvenga al mostruoso dissolversi di una stirpe, uccisa da neri veleni. Un’altra stirpe, pura e più forte, continuerà la vita. Fortebraccio reggerà la trama dell’essere:

 

He has my dying voice.

 

 

«Egli ha il mio voto di morente.»

 

Il poeta vuole figurare che la ricostituzione morale operata da Amleto costa a lui e alla sua schiatta la rinuncia alla vita. L’eccesso contro la vita è espiato così. Ad un’altra progenie è commesso di perpetuare l’attività finale dell’essere.

Ci preme di notare come nella compiutezza cosmica dello Shakespeare la serie spaziale passi in secondo e terzo piano, luminoso e nero sfondo, rispetto alla serie temporale degli sviluppi. Notiamo ancora: lo spasimo tragico proviene ad Amleto non dalla mancata funzione finalistica (il che accade in Femmes damnées, Le Voyage, Bateau ivre), non dall’ossessione dell’abisso morale aprentesi d’attorno al puro esteta; sì dalle angosce crucianti onde l’attività finalistica lacera le deboli fibre della creatura umana. Il fine strazia la materia.

Un sovrappiù di intensità tragica è poi reso al dramma dal fatto che Amleto si propone un fine «negativo» di giustizia riparatrice (negazione del male e quasi rigetto di questo nel campo dell’impossibile); la quale opera è per l’esecutore ben più desolantemente grave che non il sacrificio incontrato per un fine «creativo» (costruzione del bene, armoniosa preparazione delle époques lontaines).»

 

(C. E. Gadda, I viaggi la morte)


 

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