"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 11, settembre 2005 

 


 Marlene Dietrich: parole per la Musa

 

 

 

7.  Sventura

 


 

“Ti ho sempre amato,

anche quando mi hai ferito.”

(Capriccio spagnolo, 1935)

 

 

 

- Lo ama?

- Non lo so. Spero di no.

(Marocco, 1930)

 

 

Andare incontro alla vita come alla morte, alla vittoria come alla sconfitta, con lo stesso sorriso interiore. - In Disonorata (X-27, 1931) c’è una morte che sembra un suicidio dolce: Marlene si lascia fucilare per aver salvato l’uomo del colpo di fulmine, che secondo lo scacchiere, sempre così provvisorio, della storia è una spia della parte nemica.

 

L'habitus morale in tutti i sette è film sempre appena suggerito nei fatti da questo sorriso leonardesco: niente di più di questo quando è sola,  nel deserto dell’incomprensione, con la morte nel cuore, nell’abbandono dell’uomo che non capisce; con unarte suprema del silenzio, perché le parole – le vere puttane (Auden) – non possono cambiare alcunché dell’essenziale, che è sempre superficiale e laconico (pensa, se vuoi un blasone colto, all’Hoffmansthal della Lettera di Lord Chandos, al  Wittgenstein del Tractatus…).

 

Nella sventura, la frivolezza, la sua ironia, è l’unica maschera concessa. Guarda, in Shangai express (1932),  la differenza tra l’ex-amante, che rimpiange serioso gli anni sprecati nella lontananza, e il destino di lei che per questo si è perduta, e Marlene che dice: “Soltanto una cosa non rifarei: non mi taglierei i capelli” - che le stanno benissimo.

 

La sventura è la scelta di Marlene madre in Venere bionda, per cercare di non farsi strappare il suo bambino da un padre tenacemente ottuso e rancoroso.

 


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