Alla
        prima delle Nozze di Figaro,
        il pubblico rimase sconcertato e i cantanti vennero coperti quasi
        ininterrottamente dai disturbi di facinorosi. Leopold Mozart aveva
        scritto, tre giorni prima in una lettera alla figlia: “sarà difficile
        che sia un successo, perché so che c’è una cabala fortissima contro
        di lui. Salieri e tutto il suo gruppo non si risparmieranno fatiche per
        muovere e cielo e terra”.
        “Cabale”
        indicava allora intrighi scientemente e accuratamente predisposti,
        congiure costanti nei confronti di qualcuno da danneggiare per sistema.
        Di solito strumenti della dura lotta per la sopravvivenza di musicisti,
        cantanti, librettisti…
         
        Anche
        l’olimpico Giuseppe II non fu molto soddisfatto di Mozart, almeno
        questo è il ricordo del compositore Dittersdorf (che con Mozart e Haydn
        suonò in quartetto): gli avrebbe riferito che quel giovane “aveva la
        tendenza a sopraffare i cantanti con un accompagnamento troppo
        pesante”.  Dittersdorf,
        del resto, non è che la pensasse poi tanto diversamente: 
        “E’
        indubbiamente uno dei più grandi geni musicali e finora non ho
        conosciuto alcun altro musicista che possieda una così straordinaria
        ricchezza di idee. Vorrei solo che non ne fosse tanto prodigo. Non
        lascia mai respiro all’ascoltatore, perché appena ci si vorrebbe
        soffermare su una bella idea, eccone un’altra ancora migliore a
        scalzare la precedente e così via, di modo che nessuna di queste
        bellezze resta nella memoria” (Selbstbiograf.).
         
        L’imperatore
        non aveva insomma cambiato idea dal celebre “Troppe note!” del Ratto del serraglio.
        Malgrado
        “cabale” e perplessità imperiali, Figaro
        però andò sempre meglio. Già la seconda rappresentazione fu tutt’un
        bis.
         
        Per
        l’appassionante Hildesheimer, Mozart pagò il prezzo più caro per
        aver scelto proprio la storia di un Figaro
        che sa farsi giustizia da sé: 
        anche se Mozart non era neppure famoso al punto almeno da
        “provocare irritazione”, “l’alta società, abituata a
        riconoscersi nei personaggi dell’opera seria esaltata in un’estrema
        magnanimità e grandezza, si sentì tutt’a un tratto strapazzata, ma
        la sua prima reazione fu più un arricciare il naso che una vera e
        propria indignazione”.
        Col
        tempo però “le liste di sottoscrizioni i suoi concerti divennero
        sempre più scarne, finché nel 1791 vi compare un unico nome (van
        Sweiten)… Tutti vennero meno, come pure gli incarichi di composizioni,
        tranne l’eterno lavoro di routine per le serate danzanti a corte…. E
        a partire dal 1790 Mozart non fu più solo ignorato, ma maltrattato.” (W. HILDESHEIMER, Mozart,
        Rizzoli).