Ma
          tale desiderio, farsi titillare da un catalogo di emozioni pari solo
          al don giovannismo più acuto, ecco, tale desiderio è completamente
          abbandonato al Manque; vale a dire, condannato all’irrealizzazione,
          all’insaziabilità infinita… è l’impeto che può proliferare
          soltanto su se stesso, la ricerca inappagabile d’amore che risulterà
          sempre impossibile poiché “l’oggetto delle smanie si inscrive
          completamente nel soggetto stesso” (Lacan) …a nulla vale -allora-
          amare quest’immaginario fantasma… si può giungere soltanto al
          disamore di Don Juan, alla fuga eterna del Dissoluto, (anche se poi la
          leggerezza mozartiana si macchia qui di una crudeltà sanguinaria…
          perché in fondo si può amare l’oggetto d’amore, ma lo si può
          anche uccidere). 
          Paulina
          adora un “capretto dagli occhi dolci, teneri e pieni di stupore,
          come i suoi” spesso se lo struscia al petto, corre tenendolo in
          braccio, lo bacia e se lo accoccola tra le gambe… ma quando 
          il fattore fa sapere che è giunta l’ora della mattanza,
          Paulina quasi non si scompone; certo, è rosa dalla paura, ma assai più
          dalla attesa del giorno fatale… il suo piccolo amante, ucciderlo,
          ucciderlo… sì! ma per sua stessa mano… 
          “Il
          fattore maligno sogghignò, l’aiutò, ne spinse la mano. Lei sentì
          il coltello penetrare nel collo dell’animale, ebbe la mano bagnata
          di caldo sangue, si teneva dritta, gelida, lo sguardo terribilmente
          assente, solo il labbro inferiore ebbe un fremito.” 
          Il
          capretto, l’amante Contarini, non c’è differenza… questi oscuri
          oggetti del desiderio sono simulacri… si amano per poco, si
          annientano con nulla…