"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8 luglio 2004

 

Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi


 

 

 


 

    7.  Inutile

 

 

...e in quel medesimo luogo

scrisse le cose che seguono

(Elogio degli uccelli)

 

 Diciamolo: Amelio (nomen omen: “colui che non gl’importa”), filosofo solitario, spaparanzato sotto l’albero a incantarsi per ore lunghissime al cip-cip degli uccelli volanti,  non solo nel secolo delle ferrovie e del lavoro minorile nelle miniere, ma anche nel nostro delle catatoniche videodipendenze perenni, appare figura sconcertante di fancazzista in servizio permanente effettivo.

Antonio Prete la mise da par suo in maniera ghingherosamente filosofica: “L’Elogio degli Uccelli, che Amelio, filosofo solitario, deposti i libri, intona nella sua campagna, dice invece la luce del giorno, l’armonia del volo come armonia dei sensi, il rapporto tra canto e movimento, tutto ciò che ha il segno contrario del lavoro. Ma è l’assenza del giorno, la notte dei sensi, l’uso produttivo del corpo che compone la storia della civiltà, che dice la sua pretesa perfezione” (Pensiero poetante).

In ogni caso, non sarà certo un retaggio da giovin signore blasé e di pigra provincia vaticana a far tessere, al superteppista dell’Ottocento nostro, l’elogio non solo degli uccelli ma della impagabile “giocondità della vita inutile” (Il Parini ovvero della gloria), il cui spreco di risultati lo leggi tutto nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri, disutilissimo uomo senza qualità, che “non lasciò scritta cosa alcuna di filosofia, né d’altro che non appartenesse a uso privato” e che, “ozioso e disutile”, solo si convinse “che i fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uomini il niente nel tutto.” 

Ma ecco, da una lettera all'amata e vituperata Fanny Targioni-Tozzetti del 5 dicembre del 1831:

 

Io che non presumo di beneficiare, e che non aspiro alla gloria, non ho torto di passare la mia giornata disteso su un sofà, senza battere una palpebra. E trovo molto ragionevole lusanza dei Turchi e degli altri orientali, che si contentano di sedere sulle loro gambe tutto il giorno, e guardare stupidamente in viso questa ridicola esistenza.

Passando infine allattacco dei moralisti del profitto e del lavoro per tutta la vita: non sarà mica che tanta dedizione alla fabrichetta e allufficio - la “schiera industre” (Al conte Carlo Pepoli, v. 12) sia la sola sorte possibile per le anime veramente sfaccendate? Così, sempre nell’epistola Al conte Carlo Pepoli, Leopardi ci mette un paio di versi per dirgli che “è tutta, in ogni umano stato, ozio la vita” (vv. 7-8). E rincarando: “ozio il nocchiero; ozio il perenne / sudar delle officine, ozzio le vegghie / son de' guerrieri e il perigliar nell'armi; e il mercante avaro in ozio vive...” (vv. 19-22).

DAnnunzio lo dirà nel suo solito modo kitsch e terribile: se non sanno godere del bello, e cioè della vita, “devono lavorare (Le vergini delle rocce)!


 

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