Un
          lungo soliloquio accompagna un indecifrabile animale,  chiuso  nella sua
          tana. 
          Il
          labirinto di cunicoli ipogei lo dovrebbe sottrarre al mondo, 
          proteggerlo dai pericoli, da avversari 
          pronti ad attaccarlo. La paura diventa ossessione e poi 
          desiderio di essere ghermito, come per culminare 
          finalmente un amplesso e sciogliere tensione. Ma non succede
          nulla, soltanto  il rumore
          di un silenzio che lui impara a decifrare. Nella tana penetrano
          unicamente  piccoli
          animali che non si difendono e non possono fuggire. 
          Il
          timore, l’ansia di organizzatore di cunicoli e di sentinella lo
          spingono a un’ansiosa e costante attenzione, a una sfida con se
          stesso nel perfezionare la trama intricatissima 
          della sua fortezza fatta  di
          terra e humus.
          Questo
          strano Minotauro non è stato relegato dalla vergogna del 
          patrigno Minosse  al
          labirinto-prigione  creato
          da Dedalo:   si è
          invece fatto da solo  un’
          amniotica tana-prigione. 
          Eppure,
          sia l’Asterione-Minotauro de “L’Aleph” di 
          Borges che l’animale di Kafka possono uscire e vedere il
          mondo. Il primo per comprendere di essere unico, il secondo per
          sorvegliare se stesso, in un folle parossismo che lo spinge ad
          acquattarsi davanti all’ingresso della sua costruzione, per spiare
          l’arrivo del nemico.
          Entrambi
          percorrono pazzamente i corridoi della 
          “casa” giocando da soli, fingendo di mostrarla a un alter
          ego o ispezionandone  ogni
          angolo. 
          Entrambi
          celebrano cerimonie sacrificali con vittime innocue predestinate. Le 
          liberano da ogni male,  pensano, 
          ma sono loro, in realtà, a desiderare la liberazione: “un
          luogo con meno corridoi e meno porte”.
          Asterione
          sarà accontentato: arriverà il suo redentore che finalmente
          lo scioglierà dalla solitudine e dalla colpa: “Lo crederesti,
          Arianna? Disse Teseo. “Il Minotauro non si è quasi difeso”. 
          Non
          così l’animale della tana, perché 
          “Invece non viene nessuno e io devo affidarmi a me
          stesso”.