"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

20.  Almeno niente

 

 


 

«…se non fosse il timore di qualcosa dopo la morte, la terra inesplorata…»

(Atto III, sc 3)

 

«Ora quella morte che alcuni chiamano la più orribile delle cose orribili, chi non sa che altri la chiamano l’unico rifugio dai tormenti di questa vita, e il bene sovrano della natura, il solo sostegno della nostra libertà? E comune e proprio riparo a tutti i mali? E come alcuni l’aspettano tremanti e spauriti, altri la sopportano più facilmente che la vita.»

(M. de Montaigne, Saggi, vol. I, Milano1986)

 

  

Nell’«essere o non essere» l’impasse è determinata da un’angoscia senza uscita: passare dalle padelle arroventate di un Io-Superio dissonanti e tirannici alla brace di un inconscio (un incubo lungo quanto la morte!) signoreggiato da dèmoni e diavoli addirittura peggiori.

Amleto teme che il non-essere non esista! Non si suicida perché sospetta (il padre è LA prova che ne ha ben donde) un mondo dopo la morte PEGGIORE di quello effimero e grottesco della vita carnale – quindi esita e si trattiene nel guscio di noce, ahimè per lui in ogni caso sfasciato, dell’apparenza, e di un se stesso enigmatico e irrisolto.

 

Questo sospetto è radicale: è il timore che Dio sia, e che sia incommensurabilmente più antiumano del Nulla. Lo Spettro stesso del padre, incapace di conciliazione e stravolto da un Purgatorio senza amore per il Paradiso, istilla l’idea che il Creatore del tutto abbia amato architettare soprattutto ultramondi sconcissimi, piranesiani labirinti di tortura perfino, come per suo padre, per i giusti (mentre Claudio con una «preghieruzza» potrebbe «volare in Cielo»).

Questa è la questione: che forse esiste un Dio, che è la quiete dell’annientamento a non esistere. Che non è vero che «mors est non esse» (Seneca, Lettera a Lucilio, 54.4); che, per citare una delle «fonti» più probabili di Shakespeare, Montaigne («Se è un annientamento del nostro essere, è anche un miglioramento entrare in una lunga e tranquilla notte», Saggi, vol. III, Milano 1986) con i suoi Epicuro, Democrito, Lucrezio, ha torto.

 

«In questo bellissimo giorno, che è anche l'ultimo della mia vita…» (Democrito, Lettera a Idomeneo): chi potrà più cominciare così un testamento? Si contemplasse solo una caduta degli dèi, resterebbe spazio per se stessi, ma la CADUTA DEL NIENTE, non avere per sé neppure più il niente, a cosa ci lascia? – Un molto luciferino Pascal potrebbe dirci che non ci resta che scommettere su una qualche, buona o pessima?, forma di essere. L’orrore di una confisca eterna di sé c’era già nelle anime infernali di Dante, che bestemmiavano il giorno in cui Dio li aveva voluti al mondo; ma in Dante c’è solo stridor di denti. «Nulla sappiamo di questo andarsene / che non accade a noi» (R. M. Rilke, Esperienza della morte): non sapendone nulla può essere qualunque oscena cosa.

 

 

Così Amleto non si uccide. C’è del metodo nella sua inazione. C’è soprattutto molto metodo in Shakespeare per arrivare a scrivere queste cose. Confrontando il to be or not to be dell’Amleto del 1603 con quello che diamo per definitivo (edizioni del 1604-5 e 1623), Serpieri ripercorre un itinerario essenziale: il monologo «nel primo Amleto rivela una struttura concettuale e immaginativa diversa dal passo classico; (…) perché  qui Amleto, meditando il suicidio, lo sospende o lo rifiuta non per il terrore  di qualcosa dopo la morte («the dread of something afther death») come nelle edizioni classiche, ma per la speranza di una salvezza eterna dopo la morte («a hope of something after death») quando sarà portato davanti a un Giudice eterno («borne before an everlasting Judge»), un Giudice che scompare nell’Amleto classico, secondo una visione ben più agnostica e disperata» (A. SERPIERI, Il mistero del primo Amleto in Tradurre/Interpretare “Amleto”, Bologna 2002). Disperata per la insostenibile possibilità che un Dio cattivo, un leopardiano Arimane («malvagità, sommo potere e somma intelligenza»), esista.

 

Recentemente, un cardinale tra i potentissimi ha detto che il Paradiso sarà bello come uno stadio di calcio osannante, al che non solo Amleto potrebbe declinare l’invito.

 

E' reale tutto questo? E' forse tempo di passeggiare?

Meglio eternamente dormire, dormire, dormire,

senza sogni.

(B. PASTERNAK, La fine, in Mia sorella la vita, Milano 1996)


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