"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

54.  Compendî non aristotelici

 

 


 

«Nel suo tipico modo acuto e spicciativo-arruffato la Poetica parte dalla definizione dell’arte come mimesi (oggi forse rappresentazione) qualificandola poi come “mimesi di uomini che agiscono”…»

(N. D’Agostino, Shakespeare e i greci, Roma 1994)

 

 

Per Amleto gli attori non sono pezzi di carne in mano a un tiranno (è nota la battutaccia di Hitchcock, ma viene in mente soprattutto Fritz Lang che non solo la Dietrich trovò «nazista») che onnisciente tutto controlla e dispone. Gli attori sono anzi omaggiati ironicamente come «i compendi e le brevi cronache del tempo; dopo la vostra morte sarebbe meglio per voi avere un cattivo epitaffio che la loro mala voce finché vivete» (Atto II, sc. 2): dove pare di sentire l’eco della medesima minaccia che Ariosto fa dire al libertino san Giovanni del Furioso in difesa dei poeti (canto XXXV).

 

Affascinante che Amleto stesso cada nel gorgo dell’incanto carismatico, nella trappola per topi del grand’attore che recita la morte di Priamo. Per quella tirata, si ritrova infatti subito dopo solo e shockato a dirsi un’altra cascata di cattiverie: «Ora son solo. Oh, che furfante e bifolco son io! Non è mostruoso che quest’attore qui, solo in una finzione, sognando la sua passione, possa forzare l’anima a un’immagine al punto da averne il viso tutto scolorato, le lacrime agli occhi, la pazzia nell’aspetto, la voce rotta, e ogni funzione tesa a dare forma a un'idea? E tutto per nulla, per Ecuba!» (sempre Atto II, sc. 2). – Questo «nulla», questo «zero» («come uno sgorbio di cifre serve in breve spazio a rappresentare un milione, così lasciate che noi, semplici zeri in questo gran conto, mettiamo in moto le forze della vostra immaginazione.» Enrico V, Prologo) moltiplica per dieci ogni uno a cui faccia da coda.

 

Il riconoscimento del potere di attori-zero di indurre non catarsi ma psichici turbamenti è già qualcosa che sborda dalla tranquillizzante Poetica del troppo normativo Aristotele. Se si può impazzire o confessar delitti per un po’ di teatro, la promessa del quietarsi nel raziocinio gnomico della catarsi suonerà vera come la medicina di Dulcamara: «….voi uscirete di qui colti, pensosi, litigiosi, uxoricidi, figli ribelli, mogli adultere, ufficiali dimissionari; in ogni modo migliori» (A. Frassinetti e G. Manganelli, Teo, in  G. Manganelli, Tragedie da leggere, Torino 2005).


 torna a  

 

     torna su