"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

55.  Ambleto in Italia

 

 


AMLETO - Ah, ah! su, un po' di musica!

(Atto III; sc. 2)

 

 

«Il testo shakesperiano più famoso e complesso, Hamlet, ha stentato molto a trovare in Italia compositori che avessero il coraggio di tradurlo in linguaggio musicale; occorrerà in primo luogo dire che, per tutto il Seicento e il primo Settecento, di Shakespeare si ignorava perfino l’esistenza. Infatti, quelle che a prima vista sembrano opere basate sulla vicenda di Amleto non riguardano il personaggio shakespeariano, ma quell’Ambleto che Apostolo Zeno aveva scoperto nelle pagine di Saxo Gramaticus o meglio nella novella da esso ispirata inclusa da Françoise de Belleforest nel quinto volume delle Histoires tragiques (1570). La riduzione librettistica del dramma in versi di Zeno operata da Pietro Pariati ebbe tre versioni operistiche nella prima metà del Settecento: quella di Francesco Gasparini nel 1705, seguita dieci anni dopo da un musicista di maggiore reputazione, Domenico Scarlatti, che tuttavia non sembra aver fatto grande impressione se nel 1741 Giuseppe Carcani riprovò a musicare lo stesso libretto.

 

Nella seconda metà del Settecento e nella prima dell’Ottocento i librettisti basarono i testi dei loro Amleti non sull’originale di Shakespeare ma su quel fortunato adattamento francese di Jean-François Ducis (1733-1816) pubblicato nel 1769 e che ebbe una straordinaria diffusione anche sui palcoscenici di prosa. Ligio alle convenzioni del teatro francese da Racine in poi, il Ducis riscrisse il dramma liberandolo dalle scene di violenza di quello che i francesi consideravano il “barbaro” Shakespeare. Il suo Amleto non è un principe, ma re di Danimarca che si rende conto delle trame ordite da suo zio Claudio, il quale, responsabile della morte del padre di Amleto, ne ha sposato la madre. Quest’ultima, quando suo figlio vendica la morte del padre uccidendo Claudio, sopraffatta dal senso di colpa si suicida. In un’ulteriore versione del dramma, per esonerare Amleto da un delitto sia pure ampiamente giustificato, il Ducis attribuisce l’uccisione di Claudio alla folla inferocita per la scoperta dei crimini.

 

 

 

E’ sulla versione di Ducis che si basano le opere di Luigi Caruso (Firenze 1789) e Gaetano Andreozzi (Padova 1792), libretto di Gaetano Foppa). Queste due versioni operistiche della tragedia di Amleto sono esaminate con estremo acume da Fabio Vittorini che dedica ad esse molte pagine della sua fondamentale ricerca Shakespeare e il melodramma romantico [Firenze, 2000]. Nonostante che l’opera dell’Andreozzi sia intesa come un semplice rifacimento di quella del Caruso, la presenza di un librettista esperto come Giuseppe Maria Foppa conferisce ad essa una qualità a un tempo letteraria e musicale inconsueta per i suoi giorni e ancora non inficiata dalle convenzioni linguistiche che affliggeranno i libretti di tante opere serie nel mezzo secolo successivo, a partire appunto dal più popolare e ricercato librettista dell’epoca, Felice Romani. Anche il Romani non poté fare a meno di trarre dal Ducis i due atti del suo Amleto musicato da Saverio Mercadante e presentato dapprima a Firenze nel 1814 e poi a Milano nel 1822. Così pure Giovanni Peruzzini seguì il Ducis nella sua versione del dramma in tre atti musicata sia da Antonio Buzzola (Venezia 1848) sia da Luigi Moroni (Roma 1860). Fa eccezione forse a questa regola una figura singolare di musicista, drammaturgo e patriota veneziano, Angelo Zanardini, che fece rappresentare un suo Amleto nel 1854.

 

Lo Zanardini, che più tardi sarà il traduttore dei libretti wagneriani, opera un compromesso fra le versioni del Ducis e i testi originali: la fedeltà a Shakespeare si manifesta soprattutto nei primi atti, ma la conclusione della tragedia è un compromesso fra la strage presentata nell’originale e la concezione cristiana del perdono, per cui i colpevoli di fratricidio e uxoricidio vengono giustiziati, ma non senza ottenere il perdono di Amleto prima di salire sul patibolo. Ecco dunque confermata la tradizione francese che vede Amleto sopravvivere.»

 

(G. Melchiori, Shakespeare all’opera. I drammi nella librettistica italiana, Roma 2006)


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