"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

52.  Anti-Amleto

 


 

«Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo ad un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anch’io ho creduto fatale quanto poi si è rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato».

(A.  Busi, Seminario sulla gioventù, 1984)

 

AMLETO - Il resto è silenzio.

(Atto V, sc. 2)

 

 

La scrittura giovane, se è, è un ossimoro. Una voce che parla di sé, già prima di cominciare a scriversi, da dietro, da dopo: è già da sempre Anathomy di una giovinezza-cadavere, inesorabilmente dissanguata dall’occhio bisturi della penna – del Tempo? –, troppo smagato per ricadere nei conati e convulsioni dell’ometto in crescita (o decadenza?).

La scrittura vaccina la giovinezza da se stessa, se non altro perché ustiona la piaga. L’Amleto è antiamletico come Pinocchio è antipinocchiesco; totalmente e quindi ambiguamente: come mister Hide innerva la patologica bontà del dottor Jekyll, l’antiamletismo è in tutto Amleto, e dunque soprattutto nell’autoparòdico dirsi di Amleto, che nell’Amleto non è solo il fool di una corte neppure tanto male (e tanto meno se si pensa allo standard delle corti di Shakespeare!), ma di Amleto stesso. – Come in quasi tutte le cose, conta molto poco che questo sia o meno intenzionale: Amleto è parodia di se stesso due volte: perché esagera sempre, esagera, giovanilmente, anche nell’intelligenza; e soprattutto perché Amleto ormai non c’è, ed è scritto e recitato da un altro: dalle «parole parole parole» (nessun personaggio di Shakespeare ciancia tanto) sue secondo l’autore il ben più arduo autore del dramma.

 

 

Questa distanza, questo essere comunque in un altro tempo rispetto al fatto, questa dovuta vecchiezza del testo, questo essere la scrittura sempre l’Orazio di un altro Amleto, è la fortuna del testo. Ed e la chiave di ogni possibile lettura. Anche quando l’autore è un giovane che scrive della sua giovinezza più ormonale e drogata, se scrive davvero, dell’istante-bello-da-fermare fa ben altro che l’istant-book che sempre chiede il pubblico, adolescente anche a novant’anni, e che raramente coglie l’ironia anche acida dell’autore Merlino sulla coppietta romeo-giulietta, e ancora meno sullo «sweet prince» fresco (?) di esami a Wittenberg.

Ma l’Amleto è il contrario di un’egocentrica pietanza. Quando morente il principe dice  «Voi che assistete pallidi e tremanti a questo evento, e siete solo comparse e spettatori del dramma» (Atto V, sc. 2), come sempre manifesta almeno due cose: un fatto e un eccesso di io: trappola che le letture più accorte del dramma hanno imparato a non cadere.

 

Nel testo prodigioso c’è una trama che intreccia gli a-solo del più celebre dei monologanti in una rete di controcanti sempre speculari e dissonanti all’ego-ego-ego dell’«eroe». L’Amleto non è una sola linea melodica accompagnata da un meccanico basso albertino (il motivo per cui Glenn Gould trovava noioso Mozart!), è un intricatissimo madrigale di Gesualdo. La voce di Amleto s’intreccia nella polifonia dell’anti-Amleto, ed è polifonica – doppia, tripla e più ancora - già lei stessa: sgambetta da sola il suo melodramma, irride la sua volontà, paradizza il goffo compito da macellaio sapiente che gli tocca assolvere nella greve cosmicomica Danimarca. E da scemo saputo muore.

 

 

 

Lo spirito anti-wertheriano che Ladislao Mittner (“Werther romanzo anti-wertheriano” in La letteratura tedesca del Novecento e altri saggi, Torino 1960) riconobbe nel gigantesco equivoco romantico del Werther, è di tutta la letteratura. Goethe stesso fu chiaro (J. P. Eckermann, Colloqui con il Goethe, Torino 1957): chi si suicidò con le parole di Werther sulle labbra prese l’estrema cantonata della vita: tanto intossicato di suo da avvelenarsi con un vaccino.

Quell’anti riconosciuto da Mittner è la chiave. Una buona lettura dell’Amleto dovrebbe straniarci dai nostri inguaribili amletismi e renderci ironici e assenti abbastanza da non dire mai più io. Cose che accadono quasi solo ai santi.


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