"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

56.  La vitrea essenza

 


 

 

TIMONE - Che cosa faresti del mondo, Apemanto, se fosse in tuo potere?

APEMANTO - Lo darei alle bestie per sbarazzarsi degli uomini.

(Timone d’Atene, Atto IV, sc. 2)

 

POZZO - (fermandosi) Ma siete pur sempre degli esseri umani. (Si mette gli occhiali) A quel che vedo. (Si toglie gli occhiali) Della mia stessa specie. (Scoppia in un’enorme risata). Della stessa specie di Pozzo! Fatti a immagine e somiglianza di Dio…

(S. Beckett, Aspettando Godot)

 

AMLETO - …per l’Ostia Santa, trattali molto meglio! Se tratti ognuno come si merita chi eviterà la frusta?

(Atto II, sc. 2)

 

Non bastasse l’abnorme tradizione cristiana a dire il peggio possibile dell’uomo in sé, dell’uomo insomma perso per Dio, ci si mettono anche quasi tutti gli altri e moltissime delle voci di Shakespeare: Amleto che dice tutti, nessuno escluso, meritevoli d’essere presi a frustate, non arriverebbe neanche nei primi dieci della classifica dei misantropi shakespeariani. Tenendo da parte tutti i felloni risaputi che nella pessima genia umana trovano l’alibi di capolavori di nefandezza, per la speciale classifica, si proporrà, data la felicità retorica del loro fastidio per i simili, il primo posto per Timone d’Atene («Sono un misantropo e detesto il genere umano. Quanto a te, vorrei che tu fossi un cane per poterti amare un poco», Atto IV, sc. 2); secondo Coriolano, entrambi del resto con propri fondati motivi per pensare quel che pensano («Meglio morire, meglio morir di fame che domandare una ricompensa che meritiamo», Coriolano, Atto II, sc. 3).

Più di tutti impagabile però l’Isabella di Molto rumore per nulla: «“…ma l’uomo, l’uomo orgoglioso vestito d’una breve autorità, che più ignora ciò di cui è più certo, la sua vitrea essenza, come scimmia rabbiosa fa sì stravaganti lazzi a cospetto del Cielo eccelso, da farne lagrimare gli angeli, i quali, se avessero la nostra milza, dalle risate si renderebbero mortali»  (Molto rumore per nulla, At. II, sc. 2).

 

 

Per Amleto, l’uomo è forse soprattutto emblema di un equivoco, il resto ambiguo di un’occasione sprecata:


 

«Che opera d’arte è l’uomo, com’è nobile nella sua ragione, infinito nelle sue capacità, nella forma e nel muoversi esatto e ammirevole, come somiglia a un angelo nell’agire, a un dio nell’intendere: la beltà del mondo, la perfezione tra gli animali - eppure, per me, cos’è questa quintessenza di polvere?»

(Atto II, sc. 2)

 

«Ma che cosa è l’uomo

se il suo maggior bene e il miglior impiego del suo tempo è,

per lui, mangiare e dormire? Una bestia, nient’altro.

Certo chi aprì alla nostra percezione un così vasto orizzonte

che vi si può comprendere e scoprire il prima e il poi,

non ci accordò il privilegio divino della ragione

per lasciarlo, trascurato, ad ammuffire.

(Atto IV, sc. 4)


 

Il che inesorabilmente accade anche ad Amleto col suo codazzo di spettri, specchi e sofismi. Il rapporto tra predicar e razzolar, del resto, si sa che è arduo per tutti, per cui riteniamoci a priori scusati. - Ahimè, la verità è che siamo troppi e valiamo poco: il tempo «di dire uno» («And a man’s life’s no more than to say one», Atto V, sc. 2): « esseri di fumo, automi del minuto!» (Timone d’Atene, Atto III, sc. 6). Quanto valiamo? Il mercato e la metafisica fisseranno un punto inevitabilmente arbitrario: «…qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla» (B. Pascal, Pensieri), «medium inter Deum et nihil» (Cartesio, Meditationes, IV).

 

 

Si potrebbe almeno un po’ abbassare la cresta: in uno dei libri faro della biblioteca di Amleto (cfr. M. Praz, Prefazione a J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano 2006) si legge che «l’uomo non è la cosa più elevata del cosmo (…) ci sono altre cose nel cosmo molto più divine dell’uomo, come ad esempio le splendide luci di cui si compone il cielo» (Aristotele, Etica a Nicomaco, 1141a). Pascal commenterebbe schifato questa supremazia delle pietruzze celesti sul frutto dell’ultimo giorno della Creazione, ma magari Amleto, sincretico tra tante cose (stoicismo, cristianesimo, Epicuro, Platone, Aristotele, Lutero…), potrebbe dire un sì. Certo la sua pur breve pratica di corte è sufficiente a fargli constatare che «gli uomini si danno in affitto»  (M. de Montaigne, Saggi, vol. III, Milano 1986).

In ogni caso, e comunque vadano le cose, che «nessuno si dia delle arie» (A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena).


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