"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

53.  Ermeneutica del piffero

 


Scena cruciale:

 

AMLETO - Oh, i pifferi [sono rientrati gli attori con i pifferi]! fatemene vedere uno. Mettiamoci in disparte; perché vi date da fare per venirmi sopravvento, come se voleste cacciarmi in una rete?

GUILDENSTERN - Oh, mio signore, se il mio dovere mi fa troppo ardito, il mio amore mi rende troppo scortese.

AM: Questa non la capisco bene. Volete suonare questo zufolo?

Guild: Mio signore, non posso.

AMLETO - Vi prego.

GUILDENSTERN - Credetemi, non posso.

AMLETO - Vi supplico.

GUILDENSTERN - Io non me n’intendo affatto, mio signore.

AMLETO - E’ facile come il dir bugie; governate questi fori con le dita e i pollici, dategli fiato con la bocca, e favellerà una musica eloquentissima. Guardate, questi sono i fori.

GUILDENSTERN - Ma io non so far esprimere ad essi alcuna armonia; io non ho l’arte.

AMLETO - Ebbene, guardate ora, come dappoco voi mi stimate! Voi vorreste sonare su di me-, vorreste parere di conoscere i miei tasti; vorreste strappare il cuore del mio mistero; vorreste sonarmi dalla mia nota più bassa fino alla cima del mio registro; e c’è molta musica, una voce eccellente, in questo piccolo organo, e pure voi non potete farlo parlare. Per il sangue di Cristo, credete che io sia più facile a sonarsi d’uno zufolo? Datemi il nome dello strumento che volete, benché voi mi pizzichiate, voi non potete sonarmi.

(Atto III, sc. 2)

 

 

Dove il piffero è l’Amleto, e Rosencrantz e Guildenstern i critici, o, in senso lato, i lettori nei loro attacchi di saccenza: quindi noi.

 

Essendo eminentemente umano essere «ricchi di una scienza estranea» (M. de Montaigne, Saggi, vol. III, Milano 1986), ronzano su Amleto sciami di libri «così mediocri che neppure l’esattezza potrebbe migliorarli» (O Wilde, Autobiografia di un dandy, Milano 1996). Bloom per dire lo stesso sceglie sempre nel dramma un altro personaggio: «Chi cerca di categorizzare questo “poema infinito” comincia ad assomigliare a Polonio» (H. Bloom, Shakespeare, Milano 2003), vero: anche se è difficile sostenere che almeno lui la faccia franca. Ma questa è certamente giusta: «Non loderemo mai abbastanza l’astuzia dimostrata da Shakespeare nel creare Amleto come un girotondo di contraddizioni, sebbene il risultato siano stati quattro secoli di letture errate, sia pure in alcuni casi molto fantasiose»; l’errore delle quali letture è tenerci molto a incastonare la perla amletica in un contesto – storico o addirittura occasionale - che l’incastri una buona volta (Ibid.) in un quadro di stabile, verrebbe da dire, pedagogicità.

 

 

Concluderemo quindi una volta di più in trionfo: Amleto è uno di quei testi che, con la sua stessa sopravvivenza a tutto, prova come gli errori che nel corso del tempo gli si erano riconosciuti furono sempre errori di lettura, vale a dire errori della critica. Errori che evaporano via dal testo come pioggia sul vetro. Il che del resto è di tutte le letture (vedi il titolo di questa rubrica).

 


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