"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

 

8. Biblioteche malinconiche

 

 

 


«La saggezza del melanconico è figlia della profondità»

(M. Ficino, De vita triplici)

 

«Melancholy is the nurse of frenzy.»

(The Taming of Shrew, Introduction, II)

  

Nel Discours de la conservation de la vue (1597), l’illustrissimo dottor André du Lauren, medico alla corte del re di Francia Enrico IV, leggibile in inglese già dal 1599 e considerato allora una delle summe del sapere umano sulla tabe malinconica, afferma che quando la malinconia domina troppo e troppo a lungo la mente di un uomo, questi accede a una sorta di estasi divina che lo spinge a filosofare, divinare, scrivere versi: come si vede, un’espansione di concetti presenti nel Fedro di Platone.

 In attesa della celebre Anatomy of Melancholy di Robert Burton (1621) gli splenetici poteva delibarsi narcisisticamente anche del Treatise ou Melancholia di Timothy Bright (1586), che Dover Wilson (What Happens in Hamlet, Cambridge 1935) cita come fonte proprio della folle melanconia di Amleto, e dell’Optick Glass of Humours di Thomas Walkington (1607) dove trovi antitesi irrisolvibili concettualmente non molto diverse da quelle amletiche. Il melanconico è infatti un ciclotimico oziosamente sbalzabile tra euforia e depressione, «sad of the wise to be aut Deus aut Daemon, either angel of heaven or friend of hell» su e giù lungo le montagne russe dell’umore tra «Elysium and Paradise» e un «hellish purgatory by a cynicall meditation»…

 

Si è, dunque, sempre saputo che con la malinconia abbiamo accesso a «l’altra faccia della verità che la malinconia rivela, le tappe inconcluse del nostro eterno disordine in quel gioco di maschere utili a nascondere quel senza-volto che chiamiamo Io» (U. Galimberti, Parole Nomadi, Feltrinelli, 2006).


  torna a 

 

        torna su