Le
        lettere di Franz Kafka a Milena Jashenskà (il suo nome va pronunciato
        sdrucciolo: "Mìlena") sono un libro per sempre. Ma anche le
        lettere in cui Milena parla di "Frank"...
        “Per
        rispondere alla sua lettera dovrei scrivere per giorni e notti. Lei
        chiede come mai Frank abbia paura dell’amore e non abbia paura della
        vita. Io penso invece che non sia così. La vita è per lui qualcosa di
        totalmente diverso che per tutti gli altri uomini. Soprattutto il
        denaro, la Borsa, l’ufficio di Cambi, una macchina per scrivere sono
        per lui cose mistiche (e lo sono realmente, tranne che per noialtri),
        insomma sono enigmi stranissimi di fronte ai quali lui non ha
        assolutamente l’atteggiamento che abbiamo noi. Il suo lavoro di
        impiegato è forse il comune assolvimento di un dovere? Per lui
        l’ufficio – anche il suo ufficio – è una cosa enigmatica e
        ammirevole come la locomotiva per un bambino piccolo. Non riesce a
        capire le cose più semplici di questo mondo. E’ stato qualche volta
        con lui in un ufficio postale? Quando stende un telegramma e scotendo il
        capo cerca uno sportello che gli piaccia più degli altri, e poi, senza
        capire assolutamente perché e a che scopo lo fa, passa da uno sportello
        all’altro finché arriva a quello giusto, e quando paga riceve il
        resto in spiccioli, conta ciò che ha ricevuto, vede che gli hanno dato
        una corona di troppo e allora la rende alla signorina dello sportello.
        Poi s’allontana lentamente, conta ancora una volta e, giunto
        all’ultimo gradino, s’accorge che la corona restituita spettava a
        lui. Ebbene, lei rimane perplesso accanto a lui che s’appoggia ora su
        una gamba ora sull’altra e pensa al da farsi. Tornare indietro è
        difficile, lassù c’è un mucchio di gente. “Allora lascia
        correre” dico io. Lui mi guarda atterrito. Come si fa a lasciar
        correre? Non che gli dispiaccia per la corona. Ma non sta bene. Qui
        manca una corona. Come si può far finta di niente? E di questo ha
        continuato a parlare a lungo. Ed è rimasto assai scontento di me. E la
        stessa cosa si ripete continuamente, in ogni negozio, in ogni
        ristorante, con ogni mendicante, in diverse varianti. Una volta diede
        due corone a una mendicante e ne voleva una di resto...”
        
        (Lettera
        di Milena a Max Brod).