Kafka
          conosceva il piacere della lettura ad alta voce. 
          Sognava
          di recitare tutta “L’educazione
          sentimentale” di
          Flaubert. Tra i suoi preferiti anche il Michael
          Kohlaas di Kleist, che
          lesse più volte a casa dell’amico Oskar Baum, “poeta riservato e
          silenzioso” (K. Wagenbach). 
          Kafka,
          che non amava la musica (un paradiso da cui sentirsi escluso?), era un
          lettore affascinante e molto musicale: leggeva sorridendo, sapendo
          modulare il testo come se le frasi disegnassero onde, “da vero
          attore” (Brod), con “infinita allegria, rapito e perfino
          succoso” (Weltsch), assaporando espressioni particolari,
          ripetendole, sottolineandole con magia inquietante (Pulver). Allo
          stesso tempo non era mai declamatorio, come avrebbe preferito il gusto
          roboante dell’epoca.
           
          L’enfasi
          avrebbe solo annebbiato la tensione segreta del testo. Così, leggeva
          e sorrideva: a volte, come succedeva con Flaubert, con le lacrime agli
          occhi per l’amore entusiasta.
          Flaubert,
          e in generale i francesi, li leggeva a casa di Max Brod una o anche
          due volte alla settimana: di Flaubert, Education
          Sentimental e
          l’amatissima Tentation de Saint Antoine,
          e poi il Journal
          di Stendhal, il Là-bas di Huysmans..,
          Ma
          quali libri leggere?
           
          
            
              “Bisognerebbe
              leggere, credo, soltanto i libri che mordono e pungono. Se il
              libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che
              serve leggerlo? Affinché ci renda felici, come scrivi tu? Dio
              mio, felici saremmo anche se non avessimo libri, e i libri che ci
              rendono felici potremmo eventualmente scriverli noi. Ma noi
              abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una disgrazia
              che ci fa molto male, come la morte di uno che ci era più caro di
              noi stessi, come se fossimo respinti nei boschi, via da tutti gli
              uomini, come un suicidio, un libro dev’essere la scure per il
              mare gelato dentro di noi.”
              (Lettera
              a Oskar Pollak, 27 gennaio 1904).