"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

 

2. Se inizia a mezzanotte

 

 

 

 


 

(Ovvero: perché, se è notte, non è una tragedia)

 

«Il nesso tra l’accadere drammatico e la notte, e in particolare la mezzanotte, ha una sua buona ragione. E’ opinione diffusa che a quest’ora il tempo sia in equilibrio come lago di una bilancia. Ora, poiché il destino, il vero ordine dell’eterno ritorno, può essere definito temporale solo in senso improprio, parassitario,  le sue manifestazioni cercano piuttosto lo spazio-tempo. A mezzanotte esse trovano come una fessura del tempo, nella cui cornice compare ogni volta sempre la stessa immagine spettrale. L’abisso che separa la tragedia e il dramma barocco si illumina in tutta la sua profondità laddove l’eccellente osservazione dell’abate Le Bossu, autore di un Traité sur la poésie épique citato da Jean Paul, venga letta in senso strettamente terminologico. Essa dice che “nessuna tragedia può essere ambientata di notte”. Al tempo diurno, richiesto da ogni azione tragica, si contrappone l’ora degli spiriti propria del dramma. “Ecco: è l’ora della notte più stregata, quando si spalancano sui sagrati le fauci dei sepolcri e l’inferno esala i suoi miasmi in questo mondo” (Amleto, atto III, sc. 2). Il mondo degli spiriti è senza storia. Ed è lì che il dramma fa scivolare le sue vittime. (…). A ragione è stato osservato che il dramma inglese pre-shakespeariano non ha “una vera fine, la sua corrente continua a scorrere” (Ehrenberg, Tragödie und Kreuz). Ciò vale per il dramma barocco in generale; la sua conclusione non stabilisce alcuna epochè, come accadeva invece, in senso storico e individuale, con la morte dell’eroe tragico.

 

(…)

 

Mentre l’eroe tragico nella sua “immortalità” non salva la vita ma soltanto il nome, i personaggi del dramma barocco perdono con la morte la loro individualità nominale ma non la forza del ruolo, che rivive intatta nel mondo degli spiriti. “A qualcuno può venire in mente di scrivere dopo Amleto un Fortebraccio; nessuno può impedirmi di far incontrare di nuovo tutti i personaggi all’inferno o in paradiso, di lasciare che di nuovo regolino i loro conti” (A. Ludwig, Fortsetzungen. Eine Studie zur Psychologie der Literatur, 1914). All’autore di questa osservazione è sfuggito che ciò dipende dalla legge del dramma, e non dall’opera citata e meno che mai dal suo soggetto. Di fronte a quei grandi drammi che, come Amleto, continuano ad attirare la critica, l’insulso concetto di tragedia con cui quest’ultima li giudica avrebbe dovuto apparire logoro già da tempo.»

 

(W. Benjamin, Premessa gnoseologica a Il dramma barocco tedesco, Torino 1999)


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