"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

 

3. In parole povere

 

 

 

 


 

AMLETO - Io la pugnalerò con le parole, ma non con la mano…

(Amleto, III, 2)

 

RE - Le mie parole volan su, i miei pensieri restano al basso; parole senza pensieri mai non giungono a Dio.

(Amleto, Atto III, sc. 3)

 

DUCHESSA DI YORK - Perché la sventura deve essere così piena di parole?

(Riccardo III, Atto IV, sc. 4)

 

  

Se, come dice l’adagio dell’architetto, «less is more» (van der Rohe), lo zero sarà il massimo del più? «le parole sono diventate così false che mi ripugna usarle per ragionare» (La dodicesima notte, Atto III, sc. 1); «Come ogni sciocco è abile a far giuochi di parole! Io credo che la miglior grazia dello spirito sarà d’ora innanzi il silenzio, e che l’arte del parlare non sarà da lodarsi che nei pappagalli soltanto» (Il mercante di Venezia, Atto III, sc. 5); magari, restando nel Mercante e tra gli uccelli, si troverà un’idea di più agevole buon senso: un acuto senso della misura che riduca il profluvio entropico di chiacchiere a poche frasi essenziali aiuterà a farle ascoltare: «se un usignolo cantasse di giorno, quando ogni oca strilla» (Ibid., Atto V, sc. 1) sarebbe un rumore aggiunto agli altri. Così parla la saggia Porzia, che però non può immaginare Cordelia dal silenzio d’oro ma dal padre sordo.

 

Però vale sempre una certezza di Montaigne: «io non sono affatto obbligato a non dire sciocchezze» (M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986). Figurarsi noi. Se si blatera non rispondendo a senso, si potrà almeno rispettare le rime (Pene d’amor perdute, Atto I, sc. 1).

 

Torniamo seri: cosa si può fare davvero con le parole che non sia un dire per niente?

Nella filosofia recente è il problema degli speech acts, gli atti linguistici (J. L. Austin, How to do things wiuth words?, Harvard 1975): in Shakespeare tanti si arrovellano sull’ambigua faccenda, antica in realtà quanto il linguaggio. Amleto agogna a parole-pugnali con cui sfregiare il cuore della madre, e vi riesce («Queste parole come pugnali mi entrano nelle orecchie. Basta, dolce Amleto», Atto III, sc. 4): ma una madre è un bersaglio fin troppo facile per il suo unico figlio.

 

Anche se Amleto non è il solo («Le sue parole sono pugnali, e ognuna tocca», Molto rumore per nulla, Atto II, sc. 1), non sarà un caso, dunque, che questa efficienza sia rara, mentre ben più consueto è il vano vociare delle cicale. La natura inguaribilmente puttanesca delle parole (W. H. Auden), echi di echi pronti a darsi al primo che passa, le rende inaffidabilissime: «dare i nomi è facile, i padrini sono tanti» (Pene d’amor perdute, Atto I, sc. 1). Sarà difficile trovare una frase pare che non sia una cospirazione di menzogne, pronta a rigirarsi appena gira il vento della convenienza. Lo dice un Buffone, e quindi fidiamoci: «una frase è solamente un guanto di capretto per un bello spirito; come si fa presto a mettere il rovescio dal dritto!» (La dodicesima notte, Atto IV, sc. 1).

 

Ben più facile che la morbida rovesciabile parola inganni piuttosto che infilzi, ma – appunto – anche l’inganno di «parole melliflue» (Riccardo III, Atto IV, sc. 1) è reversibile: può essere annichilito da un altro inganno più potente come dai fatti che prima o poi potrebbero smagare la malìa. Solo di Dio è la parola che può tutto, mentre tra gli uomini non si ottiene pace solo «con belle parole ingannatrici» (Enrico VI, Atto I, sc. 1). Magari per un po’ anche sì. Dipende – si potrà obiettare – quanto ingannatrici sapranno essere: «non sono le parole che mi fanno paura», dice il fortissimo Otello, e come si sa sbaglia (Otello, Atto IV, sc. 1).


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