"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 

 

6. Equazione irrazionale

 

 

 


 

AMLETO - Sanguediddio, mi credete più facile a suonarsi d'un piffero?

(Atto III, sc. 1)

 

 

«Il mondo, come il libro che Amleto ha in mano quando Polonio va a sondarlo (II, 2), non è più un testo coerente, ma un insieme esploso (cosa legge? Qual è il senso di quel che legge? «Words, words, words», risponde a Polonio). La fuga dal centro si origina da questo collasso del mondo come testo. Anche se come testo Amleto cerca più volte, nei suoi monologhi, di recuperarlo per potersi rappresentare (come attore della sua storia, alla fine II.2, o come eroe del proprio destino, in IV.4). Perciò egli sta sulla soglia, in una vertigine epistemologica.

L’opera è senza centro, proprio perché è intrinsecamente polifonica, e quindi senza soluzione univoca. Così la definiva August Wilhelm von Schlegel: «Un’opera enigmatica che somiglia a quelle equazioni irrazionali in cui sempre rimane una frazione di grandezza sconosciuta che non ammette soluzione alcuna» (Über dramatishce Kunst und Literatur, 1809-11). E ai nostri tempi, così la riguarda Kott: «E’ il dramma più strano che si mai stato scritto; proprio per le sue lacune, proprio per quel tanto di indefinito che contiene» (I. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano 1964). E Starobinski, interrogandosi, sulle tracce di Freud, sul “dietro” di Amleto, sul segreto che lo fonda, ne coglie lo stesso “vuoto”: «Lo spettatore o il lettore ha l’impressione di una lacuna e si domanda persino se l’autore non abbia avuto la deliberata intenzione di scrivere un dramma il cui effetto tragico fosse legato alla rappresentazione di un universo – cosmico, politico, psicologico – squarciato da lacune. Il dramma di Shakespeare, infatti, contemporaneo di un’epoca in cui scompare l’immagine tradizionale del cosmo, vede la luce nel momento in cui la soggettività comincia a gettare le basi del suo regno separato e aprioristicamente inaccessibile» (J. Starobinski, L’occhio del vivente, Torino 1975)

 

(A. Serpieri, Polifonia shakespeariana, Roma 2002)


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